Può un innocuo uccellino bloccare i lavori di un porto -canale per oltre dieci anni? La risposta sembra scontata, eppure il “fratino”, questo il nome del volatile, continua a finire sui giornali e l’infinito travaglio di un’opera strategica per la città di Mazara, come il dragaggio, rischia di essere archiviata, scaricando sul pennuto buona parte delle responsabilità dell’ennesima vergogna siciliana e forse anche italiana. Certo! Il problema del dragaggio del porto di Mazara del Vallo è legato alla presenza di un nido di uccello fratino (Charadriusalexandrinus) nell'area interessata ai lavori.
Questo uccello, protetto dalla legge, nidifica in zone costiere e sabbiose, e la sua presenza rende necessario rispettare specifiche normative di tutela ambientale anche sovranazionale. Allo stato attuale restano solamente 600 coppie di fratino lungo gli 8.300 chilometri di coste italiane, l’habitat ideale per la riproduzione della specie. Un declino imputabile ad alcuni fattori che comprendono la forte urbanizzazione degli arenili, un diffuso e intensivo turismo balneare con attività connesse, la pulizia meccanica delle spiagge che spesso distrugge i nidi, la presenza di moto, fuoristrada e cani non gestiti dai proprietari liberi di predare i pulcini.
A stilare il bilancio è la Lipu, a conclusione del censimento effettuato dai volontari in Calabria, tra marzo e agosto, in coordinamento con il “Comitato nazionale per la conservazione dei fratini (Cncf) a livello nazionale”. La Lipu assegna il semaforo rosso al fratino, che significa cattivo stato di conservazione, mentre la “lista rossa”, nel 2019, ha confermato, rispetto alla precedente edizione del 2012, la collocazione di questa specie nella categoria minacciata, la seconda più grave per il rischio di estinzione di una specie.
L'interruzione dei lavori di dragaggio è dovuta proprio a questa tutela: le autorità e gli enti preposti devono garantire che le attività nella cosiddetta “colmata B” non disturbino o danneggino il nido e i pulcini del “fratino”. Pertanto, i lavori sono sospesi finché non si trovano soluzioni che permettano di rispettare le esigenze di conservazione di questa specie, come ad esempio la pianificazione di interventi in periodi di minor rischio di nidificazione o l'adozione di misure di protezione temporanea.
La riproduzione va dal mese di aprile a fine giugno, periodo in cui la ripresa dei lavori di dragaggio è stata bloccata e, per questo ed altri motivi legati al trasporto dei fanghi, fa dire al sindaco di Mazara Salvatore Quinci che “i lavori riprenderanno ad ottobre”. Questo problema evidenzia l'importanza di integrare le dinamiche ambientali con le attività economiche e di sviluppo infrastrutturale. È fondamentale trovare un equilibrio tra la tutela della biodiversità e le esigenze di miglioramento delle infrastrutture portuali, magari attraverso studi di impatto ambientale approfonditi e soluzioni tecniche che minimizzino l'impatto sugli habitat protetti.
Mazara del Vallo, comunque, non brilla per dinamiche ambientali. Vi sono, per esempio, tante cicogne nelle Sciare rese poco accoglienti dagli incendi. Nelle scorse settimane, infatti, le fiamme hanno iniziato a devastare ciò che rimane della vegetazione protetta delle “sciare” che occupano un vasto territorio boschivo. Ed è stato altresì segnalato l’incremento degli oliveti e di altre colture, in seguito agli incendi e in seguito alle bonifiche dei soprassuoli, laddove c’erano prima le “sciare”.
Se le bruciature all’inizio, a decorrere dalla terza decade di aprile, potevano passare inosservate, oggi è impressionante osservare ettari ed ettari di “sciare”, con ciò che rimane della tipica palma nana, ricoperti dal tappeto nero di cenere. Al nero della cenere si contrappone l’abito quasi bianco delle cicogne che in questo periodo si spostano dalle aree di svernamento ai siti di nidificazione. E poi c’è ancora viva il grave problema dell’area protetta di Capo Feto, i cui vincoli paesaggistici dagli anni '70 insistono nella zona ma che non sono mai stati rispettati per mancanza di controlli.
L’oasi regionale di protezione e rifugio della fauna di Capo Feto di Mazara, è abbandonata a sé stessa. Su e giù per il tempo, il degrado non ha avuto mai una pausa e se escludiamo una pulizia effettuata una decina di anni fa dell’ex provincia, poi non si è fatto più nulla. Dall’oasi si può entrare ed uscire quando e come si vuole perché non ci sono cancelli, non c’è vigilanza e non ci sono cartelli di divieti, non c’è nulla che possa proibire alla gente di invadere la zona e il litorale con auto ed attrezzature per bivaccare e sfrecciare con i motoscafi fino al margine della costa.
Succede di tutto, anche la “schiticchiata” domenicale nella riserva naturale. Ma flora e fauna di una riserva naturale non sono protette?” Il dottore Roberto Fiorentino che è stato responsabile dell’oasi fino a quando c’erano le province, tempo fa ha chiarito che “Capo Feto non è una riserva naturale ma un’oasi di ripopolamento faunistico in campo alla ripartizione faunistica della regione siciliana. E’ anche un sito Natura 2000 non affidato in gestione ad alcun ente come tutti gli altri siti 2000 siciliani.
Quello che succede a Capo Feto non può che non essere attribuito che all’educazione dei cittadini che ne fruiscono”. Il naturalista Enzo Sciabica dell’Associazione Pro Capo Feto, in una nota scrive che “Capo Feto è più che una riserva naturale. È vero, infatti, che Capo Feto non è riserva naturale ma è altrettanto vero che, oltre ad Oasi regionale di Protezione e Rifugio della Fauna, è anche Zona di Protezione Speciale, Zona Speciale di Conservazione e Zona Speciale e Zona Ramsar.
Più riconoscimenti internazionali di tutela di così non si può”.
Salvatore Giacalone