“Una Punta di Sal”. Il Mammellone tunisino, la ZEE libica e il silenzio italiano

Il Mediterraneo centrale si è trasformato in un mare di soprusi a spese dei pescatori mazaresi

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
11 Aprile 2021 09:54
“Una Punta di Sal”. Il Mammellone tunisino, la ZEE libica e il silenzio italiano

Una bella storia d’amore firma la presenza di “pescatori cristiani” nei pressi di Susa, oggi Sousse, in Tunisia. Siamo nel 1350 e Gostanza, di nobile e ricca famiglia di Lipari, ama, riamata, il povero pescatore Martuccio. Per un amore impossibile, il giovane abbandona l’isola e diventa pirata per Mediterraneo. Gostanza, avuta notizia che Martuccio era morto, disperata sale su una barca per andare alla ventura e lasciarsi morire, m il vento la sospinge e la fa approdare sulla costa di Barberia, nei pressi di Susa.

Sulla spiaggia Gostanza si imbatte in una donna che parla latino. “La Gostanza appresso domandò chi fosse la buona femmina che così latin parlava; a cui ella disse che da Trapani era, e aveva nome Carapresa; e quivi serviva certi pescatori cristiani”. Questo è l’argomento della Novella Seconda della Giornata Quinta del “Decamerone” di Boccaccio. Lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo sottolinea che, “al di là della storia d’amore che poi si concluderà felicemente, colpisce il fatto che pescatori cristiani, trapanesi e della provincia, tranquilli soggiornassero e pescassero nelle acque della musulmana Tunisia”.

Boccaccio, quindi, conferma che ancora nel Medioevo quel canale, quel breve braccio di mare tra la Sicilia e le coste africane, libiche, tunisine, algerine, non fosse ancora frontiera, barriera fra due mondi, ma una via di comunicazione e di scambio, che nelle acque, anzi, venissero allora percorse solo in un senso, dai lavoratori di Sicilia, Calabria, Sardegna, che volendo sfuggire alla fame cercavano fortuna in quelle ricche terre degli “infedeli”.

Provetti “tonnaroti”, lavoratori delle tonnare, pescatori di sarde, di spugne e di coralli, da Trapani, da Mazara, da Pantelleria, da Lampedusa, che si avventuravano sulle loro esili barche per quel mare, e insieme a contadini, pastori, minatori da ogni parte del Meridione. Poi arrivarono i Turchi ed anche gli spagnoli e i pirati diventarono, improvvisamente, ammiragli e principi. Scrive Braudel nel suo grande libro “Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II: “In tutto il Mediterraneo l’uomo è cacciato, rinchiuso, venduto, torturato, e vi conosce tutte le miserie, gli orrori e le santità”. 

Riprende l’emigrazione italiana nel Maghreb nei primi anni dell’Ottocento ma la fine degli anni sessanta del secolo scorso c’è l’inversione di rotta della corrente migratoria nel Canale di Sicilia. E’ l’inizio di una storia parallela, speculare. Nel 1968 tunisini, algerini, marocchini approdano sulle nostre coste. Questa prima emigrazione maghrebina in Sicilia coincide con lo scoppio della “guerra del pesce”, il contrasto cioè fra gli armatori siciliani e mazaresi, in particolare, e le autorità tunisine e libiche. Con i tunisini c’è il problema del “Mammellone” e della prima “scivolata” del governo italiano, nel senso che “lascia fare”.

Il “Mammellone” è la "Zona di pesca a Sud-Ovest di Lampedusa" ed è considerata dall'ordinamento italiano (Decreto Ministeriale del 25 settembre 1979) una porzione di alto mare che è “tradizionalmente riconosciuta come zona di ripopolamento e in cui è vietata la pesca ai cittadini italiani e alle navi battenti bandiera italiana” al fine di assicurare la tutela delle risorse biologiche. Quindi gli italiani nemmeno possono “entrare” in quella zona. La Tunisia considera ancora oggi (il primo atto istitutivo del vincolo è il Decreto Beylicale del 26 luglio 1951 il cui contenuto è stato ripetuto in successive leggi) il "Mammellone" come propria zona riservata di pesca, delimitandolo con modalità identiche a quelle adottate dal nostro Paese nel su citato D.M.

25 settembre 1979. Il differente modo di qualificare giuridicamente la zona è alla base del noto contenzioso tra i due Paesi. Infatti, con lo scadere, nel 1979, dell'ultimo accordo bilaterale di pesca tra il Governo italiano e quello tunisino, è venuto meno il regime preferenziale di pesca in acque territoriali tunisine, previsto in favore dei battelli italiani, dietro versamento da parte dello Stato italiano di una contropartita di tipo finanziario. Per controllare il rispetto, da parte dei battelli nazionali, del divieto di pesca disposto dal D.M.

dal 25 settembre 1979 viene svolto dalle Unità della Marina Militare un servizio di vigilanza pesca.

Con la legge n. 2005-50 del 27 giugno 2005 la Libia ha istituito la propria Zona Economica Esclusiva (ZEE) nella quale esercita «diritti sovrani ai fini dello sfruttamento, esplorazione, conservazione, gestione e protezione delle risorse naturali biologiche o non biologiche delle acque sovrastanti, del fondo e del sottofondo del mare». La legge citata prevede che tale zona di mare - in cui è comunque garantito agli Stati terzi la libertà di transito e l’esercizio degli altri diritti previsti dalla Convenzione del Diritto del Mare - sarà oggetto di successivi decreti di applicazione.

La Libia invece ha esteso la sua zona di mare fino a 74 miglia dalla costa (in foto copertina la fascia in verde davanti la costa libica). Tunisini e libici, in questi anni, hanno sequestrato decine di pescherecci ed hanno usato anche le armi. L’Italia è rimasta bloccata di fronte a questi sfracelli. Sono trascorsi 53 anni dall’immigrazione di tante etnie ma dal nostro governo, attraverso gli anni, soltanto “bla bla”, nessuna previsione, nessuna progettazione, nessun accordo tra governi, fino a giungere alle tragedie che si consumano spesso in un canale che dovrebbe essere di pace e non di improvvisati metodi duri, drastici, violenti contro quelli che sono i diritti fondamentali dell’uomo.

Per i pescatori mazaresi il mare si è ridotto così ad un fazzoletto. Accerchiati da vedette tunisine e libiche, non sanno più dove pescare in un Mediterraneo diventato scomodo e violento. Da Roma silenzio assoluto.

Salvatore Giacalone

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