“Una punta di Sal”. Cervelli in fuga…

Nell’ultimo anno il 40,6% delle partenze ha riguardato ragazzi tra 18 e 24 anni. I dati della Fondazione Migrantes

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
15 Maggio 2022 11:47
“Una punta di Sal”. Cervelli in fuga…

“Cervelli in fuga”. I dati parlano chiaro: i giovani italiani, se possono, partono. Sono moltissimi coloro che ogni anno e ad un ritmo sempre più consistente, lasciano l’Italia per Paesi in cui vedono le proprie competenze riconosciute. Sono infatti giovani laureati, molti ad altissima specializzazione i protagonisti della cosiddetta fuga di cervelli.L’emergenza Covid-19 sottolinea l’importanza di porre al centro del dibattito questo fenomeno che, sul versante degli effetti, ha un forte impatto economico e non solo sociale.

L’emergenza migratoria dunque non riguarda solo chi arriva, ma anche chi se ne va. Da molti anni ormai l’Italia è costretta a fronteggiare il problema dei cosiddetti “cervelli in fuga”. Il fenomeno consiste nell’emigrazione all’estero di giovani laureati che possiedono delle specializzazioni professionali o vogliono acquisirle.Il fenomeno della globalizzazione rende possibile studiare ed avere esperienze lavorative in una nazione diversa dalla propria e questo permette di ampliare le proprie conoscenze e capacità professionali; molti fra i migliori studenti italiani, però, preferiscono non rientrare in patria poiché ritengono di non poter ricevere offerte lavorative adeguate agli studi conseguiti.

In Italia, le condizioni lavorative non sono, in effetti, incentivanti: gli stipendi sono bassi anche per chi ha alle proprie spalle un percorso di studi eccellente e le possibilità di crearsi una carriera sono pochissime.Di conseguenza, moltissimi italiani specializzati si vedono costretti a trasferirsi in altri Paesi. Ma anche i giovani che non sono intenzionati a lasciare la propria terra, spesso non hanno altre opportunità se non quella di cercare lavoro altrove. I giovani laureati mazaresi che studiano all’estero nelle università o nei centri di ricerca sono oltre 200 ed almeno 300 sono quelli che studiano in una università diversa da quelle siciliane, meta preferita Milano, Roma, Pisa.

Poi ci sono giovani che studiano in università private di cui non conosciamo neanche i numeri approssimativi, sono coloro i cui papà possono pagare delle rette importanti nella speranza che il proprio figlio o figlia acquisisca una laurea con voti importanti per una celere introduzione nel mondo della finanza o scientifico o universitario. Comunque sia, sono giovani che rientrano in città per le vacanze e destinati a vivere lontani dalle loro famiglie, D’altro canto pretendere un loro ritorno in una città che non offre realtà industriali di un certo tipo, né qualificazioni professionali da sviluppare, la scelta di restare in qualche Paese europeo o americano, sembra obbligatoria.

Tranne che il giovane, dopo la laurea conseguita, magari, in qualche università italiana, non preferisca l’insegnamento negli istituti scolastici con stipendi bassi, ma chi si laurea con voti eccellenti ed entra già in un certo circuito di Enti o di centri di ricerca, la decisione del giovane “Eccellente” che magari parla già diverse lingue, non potrà mai essere il ritorno in città. Intanto in Italia, se è vero che il tasso di occupazione sta in generale aumentando, è altrettanto vero che la disoccupazione giovanile a dicembre è nuovamente scesa.

Un laureato italiano su venti, a distanza di quattro anni dalla laurea, risiede all’estero (ISTAT) e sono circa 14.000 i laureati che ogni anno decidono di trasferirsi in un’altra nazione, con un tasso di emigrazione raddoppiato rispetto al 2011.Il fenomeno della fuga dei cervelli, secondo uno studio della Fondazione Migrantes, riguarderebbe prevalentemente ragazzi fra i 18 ed i 34 anni di età che rappresentano un terzo degli Italiani all’estero. Le mete più gettonate sono Inghilterra, Spagna, Paesi del Nord Europa, Brasile ed Argentina, ma molti decidono di trasferirsi anche in Paesi in forte sviluppo quali l’India, gli Emirati Arabi ed il Sud Africa.

La maggior parte dei laureati che decidono di trasferirsi all’estero ha frequentato facoltà scientifiche oppure lingue, avrebbe raggiunto la laurea con il massimo dei voti (spesso con lode) ed avrebbe partecipato al progetto Erasmus.È anche vero che 500 mila laureati stranieri hanno scelto di vivere in Italia; nonostante questo possa sembrarci rassicurante, l’Italia è in realtà l’unico Paese europeo ad avere un saldo negativo fra ricercatori in uscita e in entrata: esso è infatti del -13%. Questi dati sono tutt’altro che rassicuranti e dovrebbero farci capire come il nostro Paese stia perdendo le menti più brillanti.

Poi il problema non è se un giovane sceglie di andare all'estero, o fare un'esperienza di studio, lavoro o di stage in un altro Paese: se ciò rappresenta un'opportunità, è sano. Ma se si tratta di una fuga obbligata invece, questo non può che essere considerato un fallimento. Secondo il rapporto annuale sugli Italiani nel mondo curato dalla fondazione Migrantes, in dieci anni il numero di espatri è triplicato, passando da 39 mila nel 2008 a 117 mila nel 2021. Nell’ultimo anno le partenze hanno riguardato soprattutto i giovani: nel 40,6% dei casi si è trattato di ragazzi tra 18 e 24 anni.

Una recente ricerca di due studenti italiani di Harvard mette in guardia sul fatto che questi dati potrebbero in realtà essere delle sottostime di quelli reali, rivelando un’ulteriore possibile estensione del fenomeno. Il rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno) segnala inoltre una crescente tendenza di abbandono del Mezzogiorno che si rivela essere la vera emergenza. Si riscontra dunque un Sud sempre più svuotato dall’emigrazione di migliaia di giovani e laureati, minacciato da una preoccupante prospettiva demografica di spopolamento.

Così, se l’Italia non cresce nel suo complesso, il divario del Sud con il resto d’Italia aumenta progressivamente. Secondo Eurostat, per ogni euro speso in educazione (dunque tenendo in conto scuole primarie e secondarie), l’Italia ne spende 3,5 in pensioni e per ogni euro in università, ne spende 44 in pensioni. Occorre, quindi, una netta inversione nelle politiche giovanili ed un notevole investimento nelle università italiane pubbliche nonché nei centri di ricerca, che sono pochi rispetto alle nuove esigenze che richiede la globalizzazione.

Salvatore Giacalone

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