Nel splendido scenario dell'imbrunire nel Parco Archeologico di Selinunte, è andato in scena questa sera, nell'ambito della Rassegna "Teatri di Pietra", "L'Infinito Giacomo" diretto da Giuseppe Argirò e interpretato da un ispirato Giuseppe Pambieri.
Lo spettacolo, al quale abbiamo assistito, è stato molto apprezzato dal pubblico anche per le musiche, molte di Mozart, che hanno accompagnato la straordinaria interpretazione di Giuseppe Pambieri (vedi foto n.1) che ha "riletto" Leopardi fra le magiche luci riflesse nelle storiche pietre dell'acropoli selinuntina.
Dal testo di Giuseppe Argirò emerge un Giacomo Leopardi inedito, "confidential", avido di vita proporzionalmente ai suoi malanni fisici che lo hanno portato a trascorrere gli ultimi anni della sua vita, dal 1833 al 1837, all'ombra del Vesuvio.
"L'imperfezione del genio, in tutta la sua irregolarità, conduce alla solitudine, a un pellegrinaggio estenuante nell'universo" – racconta Argirò. Per il regista, Leopardi è "un re senza regno, è Amleto che arriva oltre il limite del conoscibile, supera la coscienza affermando la vita nel suo groviglio inestricabile di bene e male; per il genio tutto è noia, è tedio incommensurabile".
Il poeta di Recanati, con lucido disincanto, "affonda a piene mani nella verità – spiega Argirò – e ne trae la radice del dolore. Leopardi, affettuosamente Giacomo, nel nostro viaggio, non appare così distaccato e lontano dai piaceri terreni, non ci sembra affatto disinteressato a ciò a cui aspira la gente comune. Giacomo è vulnerabile, ansioso, riservato, schivo, eppure è pervaso da un desiderio inesauribile di vita. Giacomo è goloso, non può fare a meno di dolci, cioccolata, paste alla crema e gelati. In questo ricorda Mozart, altra creatura divina nella sua sregolatezza; la sorella di Giacomo è stata biografa di Mozart. Non a caso alcune delle sue più scandalose composizioni, fanno da contrappunto agli aneddoti più divertenti della vita di uno dei massimi autori italiani".
Giuseppe Pambieri, formidabile attore tra cinema, teatro e televisione, interpreta Leopardi, con grande sincerità, confessando le sue paure come la sua fobia per l'acqua, i suoi desideri più intimi, la sua ambizione a vivere una vita normale. La poesia appare per lui come una maledizione divina che lo isola e lo fa soffrire. Ma, come conclude il regista, "Leopardi non è tutto nella sua poesia. La sua ricerca affettiva attraversa i secoli e incontra una disperata umanità che per sopravvivere alla storia che avanza, non può che stringersi in una solidarietà reale che diventa l'unica possibilità di sopravvivenza, ancora oggi per tutti noi. L'umanità irriverente del poeta e il suo spirito dissacrante sono al centro di questo viaggio attraverso le sue opere: l'Epistolario, lo Zibaldone, gli scritti filosofici e politici, le Operette Morali e i Canti.
Il ritratto di un artista senza tempo, al di là di ogni regola, creatore di eterna bellezza.Il poeta recanatese è di grande attualità perché, al di là della rappresentazione teatrale, pone lo spettatore e, in definitiva l'intera società contemporanea, di fronte alle domande ultime che l'essere umano si è sempre fatto.
Ecco cosa scrive Carlo Mafera in una sua recenzione di qualche anno fa dell'opera di Argirò su LPL News 24: "E' stata una piacevole riscoperta di un poeta ma anche di un filosofo che ha riportato la platea sui banchi di scuola facendo ricordare tante sue poesie che si studiavano a memoria e rimangono come degli ottimi compagni di viaggio della vita di tutti noi. È un patrimonio, Giacomo Leopardi, non solo culturale ma affettivo. Ogni suo verso ci coinvolge nel più profondo dell'intimo perché nella sua filosofia esistenziale ci riconosciamo tutti.
La voce di Giuseppe Pambieri, suadente, calda, a volte incalzante, ha penetrato l'anima di tutti gli spettatori facendo trascorrere agli stessi due ore di spensierata riflessione (scusate l'ossimoro). Ma tutto lo spettacolo è un grande ossimoro, perché vengono accostate le sue più intime poesie con episodi di vita vissuta dove emergono tutte le fragilità e le debolezze del poeta. La biografia romanzata che esce fuori dalle pagine dell'Epistolario e dello Zibaldone ci dà un ritratto singolare ed inedito del nostro poeta.
Per esempio Pambieri racconta la fobia dell'acqua del poeta recanatese. Nelle sue parole poi il desiderio di una vita normale è sempre presente; il dono di scrivere poesie appare però come una maledizione divina che lo fa apparire diverso, lo condanna ad una sofferenza eterna e lo distacca dal mondo che lo circonda, nonostante il suo desiderio di inserirsi. Giuseppe Pambieri, con l'ottima regia di Giuseppe Argirò, ha rappresentato in modo puntuale la conversione "dal bello al vero", avvenuta ad appena vent'anni, da parte di Giacomo Leopardi.
Questi abbandona le illusioni giovanili per approdare ad una nuova visione della realtà: essa viene vista con occhio freddamente filosofico, materialista e sensista. La sua teoria del piacere ci spiega come per l'uomo sia impossibile raggiungere l'infinito per arrivare alla vera felicità: l'uomo tende per natura ad un piacere infinito e la particolarità del mondo reale fa sì che niente possa, per qualità e quantità, soddisfare questo bisogno dell'uomo. E l'assenza di questo lo porterà, necessariamente, a vedere dappertutto il male.
Pambieri ci conduce a riflettere su Leopardi. E tale riflessione si conclude, come si diceva, con la considerazione che il poeta non è tutto nella sua poesia. La ricerca s'incontra anche con la nostra parte di disperata umanità che per sopravvivere alle domande di senso sempre più incalzanti della storia individuale e sociale non può che risolversi in una solidarietà che diventa l'unica possibilità di sopravvivenza, ancora oggi per ciascuno di noi".
Il sodalizio fra Pambieri ed Argirò (insieme nella foto n.2) si rinnoverà con un altro lavoro, in preparazione, da parte dell'autore sull'opera pirandelliana.
Francesco Mezzapelle
08-08-2014 1,00
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