Ultime della sera, “Un pesce ed una zappa: “Tobia”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Settembre 2020 18:53
Ultime della sera, “Un pesce ed una zappa: “Tobia”

Tobia è il nome di due personaggi del Vecchio Testamento. Una storia antica questa, padre e figlio riassunta con un pesce ed una zappa. Il padre, uomo giusto e buono, perse tutto il suo denaro e la vista a causa di un incidente per un atto di carità. Tobia, detto anche Tobiolo,  viene inviato dal padre a riprendersi dieci talenti d'oro lasciati in deposito presso un parente. Lungo la strada, Tobiolo conobbe un uomo che si presentò come Azaria, (altro non era che l'angelo Raffaele). Costui, ascoltata la sua storia gli consigliò di sposare Sara e di uccidere un certo pesce ma di conservarne il fiele, e di medicare con questo fiele gli occhi del padre cieco.

Il giovane Tobia, col suo pesce talismano, si inginocchia di fronte al padre; questi tenendo in mano il fiele del pesce, spalmó il medicamento che operò come un morso, poi distaccò con le mani le scaglie bianche dai margini degli occhi e il padre recuperò la vista. Per quella zappa, Tobia era diventato noto, aveva attirato la collera dei potenti, ed era pure caduto in disgrazia. Al tempo di Salmanàssar faceva spesso l’elemosina alla sua gente; donava il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e se vedeva qualcuno dei suoi connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, lo seppelliva.

Da quella zappa,  per quella sua dedizione ai cadaveri dei suoi, insomma, ha inizio tutta la vicenda del libro. Ciò che nel testo viene descritto in pochi versetti, nella nostra vita può comportare l’esperienza di anni ed anni. Tobia vive un’esperienza fondamentale posta tra il suo passato e il suo futuro. Esso rappresenta alcuni momenti della vita, dove tutto sembra finire e si è nel buio. L’acqua del mare, rappresenta sia la morte che la vita. Tobia nello spavento invoca aiuto ed non è solo, ma c’è l’angelo che gli dice di lottare: “afferra il pesce e non lasciarlo fuggire”(Tb 6,3).

Questa lotta non è fine a se stessa, anzi Tobia nel pesce trova nutrimento e medicina per gli altri. Epica dalla quale traiamo l’insegnamento che nella vita bisogna sempre lottare per custodire mente e cuore. Confrontandoci con la storia di Tobia, abbiamo l’occasione di verificare se la nostra vita è semplicemente abitudinaria o possiede radici profonde, anche di fronte a prove forti. L’uomo è chiamato a lottare per custodire, a fare sacrifici (sacrum facere) per rendere sacro ciò che fa, è un combattimento in alcuni momenti “solitario, quasi eroico” .

Accade nella storia di ognuno di noi quello che molte volte sembra disastroso, a volte invece porta a un bene. Bisogna non perdere mai la fiducia nella provvidenza Divina. La cecità, l’incapacità di ‘vedere’ l’invisibile è ormai molto diffusa. In mezzo a un mondo come quello attuale in cui si strombazza la tolleranza verso tutti quasi fosse un “credo”, ma di fatto in cui non si respira un’aria propriamente cristiana. Siamo costretti oggi a difendere la nostra identità in mezzo a un ambiente non facile e condizionato.

Si comprende allora perché i primi cristiani amassero scrivere dappertutto la misteriosa immagine del pesce, che faceva loro ricordare, appunto, la Passione e l’Eucaristia. “Piscis assus, Christus passus”, formula sovente usata dai Padri latini,  interprete delle tradizioni cristiane che avevano, fin dall’origine, consacrato un’analogia simbolica tra il pesce sottomesso all’azione del fuoco e il Salvatore consumato dai fuochi ardenti della sua passione. Nel pesce arrostito che gli Apostoli presentano al Salvatore, quando, apparendo loro dopo la sua resurrezione, egli dice: “Non avete niente da darmi da mangiare?”.

La carne del pesce che nutre; la sua fede e il suo cuore che allontanano il demonio; il suo fiele che restituisce la luce agli occhi. Tobia in alcuni ancora oggi, non è morto vive!!! L’ebreo esemplare ma sfortunato che  perse denaro e vista per un atto di carità, che incontra il pesce misterioso come più tardi i discepoli di Emmaus incontrano il celeste viaggiatore che illuminerà i loro spiriti. Queste semplici riflessioni sono prima di tutto per chi scrive, perché ho sperimentato la sofferenza e l’incapacità alla lotta che tanto male porta, ma testimonio con  gratitudine, la misericordia e la grazia e la fiducia nella provvidenza  Divina del Salvatore, che guarisce e conduce la nostra vita, nonostante i nostri limiti e la nostra povertà.

  Antonio Carcerano

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