In giro per Roma (sono tornato ad essere matricola universitaria ma questa volta di una facoltà di filosofia), mi sono imbucato nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Nel transetto sinistro, all’interno della cappella del Cardinale Federico Cornaro, è collocato uno degli esempi più elevati di arte barocca. Si tratta di una scultura in marmo e bronzo dorato: l'Estasi di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo Bernini.
Per beatitudine, (recita Wikipedia), si intende in ambito religioso o spirituale uno stato di profondo benessere psicofisico e/o spirituale, dovuto all’estasi della vicinanza o dell'identificazione con un'entità trascendente. L’estasi o beatitudine, elemento che è presente in tutte le fedi, è comunemente considerata la diretta conseguenza di esperienze di tipo mistico.
Nella storia dell’uomo, in molti e a diverse riprese hanno tentato di ricondurre la beatitudine all’interno dell’ambito economico, trasformandola in un bene surrettizio fornito in regime di monopolio. In definitiva, il pensiero economico che assurge a religione a sé stante.
Precetti, comandamenti, dottrine, sono gli strumenti con cui si è preteso di rendere escludibile e rivale un bene che per sua natura non lo è.
Ma, qualsiasi cosa significhi per voi, la beatitudine è, tuttavia, un bene che non soggiace ad alcuna legge economica: non può essere prodotta, non può essere consumata, non può essere scambiata. E’ disponibile illimitatamente e per chiunque, pertanto non può essere redistribuita né avrebbe senso farlo, non può essere tassata, espropriata, collettivizzata e così via.
In definitiva, la beatitudine non è un bene economico proprio perché si sottrae alla scarsità. Non solo, la beatitudine si sottrae anche alle lusinghe di qualsiasi progetto politico: non ha bisogno di un regime democratico, non pretende di rovesciare l’ordine costituito, non è lo stadio finale di alcun processo evolutivo o rivoluzionario. Questo perché non è collocata nel futuro, non trascende il presente, non brilla come un sole al di là da venire.
La vera beatitudine, pace che il mondo non può regalare, fa parte della nostra dotazione iniziale di risorse; è sempre a disposizione: “chiedete e vi sarà dato”; non ci sono barriere all’ingresso: “bussate e vi sarà aperto”; rifugge da complicati processi di scelta intertemporale: “non siate mai ansiosi del domani, poiché il domani avrà le proprie ansietà”.
Il bene non economico per eccellenza, ai giorni nostri è stato assoggettato invece ad un processo di produzione, scambio e consumo. Ma la beatitudine è anti-economia per eccellenza: essa è pura abbondanza. Non solo si colloca al di la del bene e del male, ma anche della competizione e della cooperazione, della libertà e della schiavitù, del pubblico e del privato e di qualsiasi altra dicotomia che induca a trascendere il presente.
Tutti gli oligopoli, monopoli presenti e passati, applicando le leggi dell’economia al mondo dello spirito, entrano periodicamente e inevitabilmente in conflitto tra loro. La conseguenza diretta è il trascinamento degli individui nella più cupa infelicità venendo palesemente meno alla promessa di consegnare il bene che invece hanno venduto solo a termine.
La Beatitudine quella che si fonda su una relazione profonda e intima, che supera ogni malizia e tradimento è sommo bene, non ci procura solo l'eterna gloria del paradiso, diviene mezzo per condurre una vita felice, per quanto è possibile, in questo mondo.
La conclusione la prendo a prestito da Santa Teresa d’Avila: “Nada te turbe, Nada te espante, Todo se pasa, Dios no se muda. Quien a Dios tiene Nada le falta”.
di Antonio CARCERANO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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