Ultime della sera: “Il giorno della pietà”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
07 Novembre 2020 18:20
Ultime della sera: “Il giorno della pietà”

Facciamo che oggi non parliamo. Facciamo che oggi riponiamo in un angolo tutta la nostra scienza e la nostra supponenza, la nostra presuntuosa sicumera e la nostra carriera di persone perfette. Facciamo soprattutto che deponiamo la toga da giudice che con tanta alterigia indossiamo ogni giorno, quando emettiamo sentenze inappellabili nei confronti degli altri e che invece trasformiamo in manti di compiacimento, quando ci guardiamo allo specchio, e vediamo solo buone azioni. Facciamo che oggi, almeno per oggi, sia il giorno della pietà.

Un bambino appena nato è stato scaraventato giù dalla finestra. Una madre, anch’essa  quasi una bambina, per farlo volare, gli ha tagliato per sempre le ali e, in altro modo, le ha tagliate a se stessa. Ora sarebbe facile elencare i perché, i come mai, i non è possibile. Ora sarebbe facile puntare il dito contro la madre, la famiglia, gli amici, la scuola, i servizi…, citare studiosi e manuali che spieghino, esaminino, illustrino… Ma io  non voglio farlo, non oggi. C’è troppo rumore, c’è sempre troppo rumore:  c’è un virus che attanaglia il mondo, c’è il rischio di una povertà dilagante, c’è una economia disastrata, ci sono famiglie separate, sogni spezzati, traditori e traditi.

Ci sono questioni lontane e vicine  e ci sono troppe persone che urlano. E così, non li sentiamo più i sussurri, i lamenti, i gemiti della solitudine, della paura, della disperazione delle persone intorno a noi. Improvvisamente, ci accorgiamo che oltre a tutto ciò che urla, c’è un mondo che chiede aiuto anche quando non sa più come  chiederlo. E ci stupiamo e ci indigniamo, e saliamo in cattedra a pontificare. Una ragazza di colore, impegnata nella raccolta delle olive, viene massacrata di botte dal suo compagno (si può più chiamare così?): anche delle sue lacrime profuma l’olio del frantoio con cui condiamo il pane.

Un ragazzo trova il corpo impiccato di una persona cara: anche della sua angoscia è fatta la strada che percorriamo. Due adolescenti stanno fumando Crack da una bottiglia e credono di avere in mano il mondo: anche della loro fame di morte sono costellati i vicoli su cui camminiamo. Una ragazza ha in grembo un figlio (chissà se aveva pensato a come chiamarlo!) e poi lo butta giù dalla finestra: anche di quel gesto sono fatti i nostri giorni… Facciamo che oggi non parliamo e proviamo a pensare che anche  a noi capita di fare come fecero gli apostoli nell’orto del Getsemani: ci addormentiamo.

Mentre accanto a noi si consuma la tragedia, noi dormiamo, noi siamo altrove.  Anche noi, a volte, siamo gli amici che dormono. Quante volte abbiamo avuto bisogno di qualcuno che ci dicesse “non temere, non preoccuparti, non avere paura…ti aiuto io, non sei solo”. Già, non sei solo. E quante volte abbiamo, anche senza saperlo, negato quelle stesse parole a qualcuno che ne avrebbe avuto bisogno. Davvero non ci rendiamo conto di quanto importanti possiamo essere gli uni per gli altri! Facciamo così, che queste odierne ultime della sera, accompagnino il tramonto di un giorno triste e preparino l’alba di domani, che ci trovi vigili,  attenti e pronti ad accogliere senza giudicare, a rassicurare senza accusare.

Facciamo che i nostri pensieri, le nostre preghiere, siano ali che portino al cielo quel bambino a cui, al primo respiro, è stato per sempre tolto ogni respiro  e che si facciano reti che sostengano chiunque altro, in qualunque modo, rischi di precipitare. Chiedo scusa ai tenaci lettori, che fin qui sono giunti, se li ho rattristati. Ma credetemi: è proprio perché conosco la disperazione, che credo nella speranza. Perché conosco il dolore , che rivendico, per tutti, il diritto alla gioia.

Maria LISMA

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