Sono trascorsi sette anni ma i ricordi sono ancora vividi come fosse ieri. Erano giorni frenetici e concitati, figli di settimane altrettanto folli. Correva l’anno del Signore 2014 e nel luglio di sette anni fa Trapani ed Erice divennero teatro naturale per Fly For Peace, una delle più belle, grandi e riuscite manifestazioni che questo territorio abbia mai avuto il piacere di ospitare. Un messaggio di pace e speranza diffuso in cielo dalle Frecce Tricolore mentre nella plenaria del Centro Ettore Majorana di Erice economisti, scienziati, giornalisti, religiosi di ogni credo e perfino astronauti varcavano la soglia e prendevano posto per spiegare ai curiosi accorsi da ogni parte d’Italia come e perché la pace va costruita giorno dopo giorno da ognuno di noi, nessuno escluso.
“Dialoghi di pace” li abbiamo chiamati, perché questo volevamo che fossero. E poi così è stato! Mentre a valle, a piazza Vittorio prendeva vita il “Villaggio della pace”, nel cielo le Frecce Tricolore e il loro magnifico spettacolo acrobatico. Sul palco invece le Farfalle azzurre e la loro grazia.
Quando si cominciò a parlare del progetto, della manifestazione, tutto sembrava lontano e surreale. Un’azienda milanese si sarebbe occupata dell’organizzazione e della gestione dell’evento. Noi, in loco, dovevamo solo supportare e aiutare all’occorrenza. Ma nulla fu mai come nei piani durante quelle interminabili settimane di inizio luglio. All’improvviso diventammo un gruppo unico e affiatato, una macchina perfettamente oleata che contava al suo attivo migliaia e migliaia di chilometri… In realtà, non solo non avevamo mai lavorato in gruppo insieme prima di allora, ma la maggior parte di noi era estranea l’una all’altra. Ci incontravamo per la prima volta… E fu subito sintonia!
Abbiamo scherzato per mesi, dopo l’evento, sullo spirito francescano che ci aveva (avrebbe?) guidato (tra i promotori dell’iniziativa, in prima fila le famiglie francescane al gran completo) e sulle coincidenze e le fatalità checontinuavano asusseguirsi e incastrarsi. Anche noi diversi tra noi, ognuno col suo background e la sua storia vissuta. Alla fine abbiamo deciso di chiamarla Alchimia.
C’eravamo tutti, pronti a discutere e correggere… Siamo rimasti col naso all’insù e con le orecchie aperte al dialogo perché correggere troppo non è servito. Tutto è andato per come doveva andare. E ancora oggi, a distanza di sette anni, ci chiediamo come abbiamo fatto a fare quello che abbiamo fatto…
Però credo sia arrivato il momento di ringraziare alcune persone per quell’avventura meravigliosa. Primo tra tutti Salvatore Montemario, amico da una vita e compagno davvero di mille peripezie che visto che c’era una cosa da organizzare mi fece uno squillo e io accorsi. E poi Giorgio Buffa, rivelazione dell’evento, uomo garbato e cervello sopraffino, devoto e innamorato di Dio e della sua famiglia. E ancora il grande collega e amico Max Firreri con il quale ancora oggi ricordiamo lo spirito francescano che ci spinse a fare quello che nessuno avrebbe scommesso saremmo riusciti a fare.
Decine e decine le persone e i personaggi che si sono resi a tratti necessari, a tratti protagonisti dell’eccezionale evento. Ricordarli tutti sarebbe davvero troppo lungo, ma un ultimo grazie lo voglio spendere. E va ad Angelo Termine: amico, compagno e marito che sempre accorre quando chiamo. Al mio fianco in tutti i momenti che contano.
Per farvi capire cosa successe sette anni fa però vi lascio alla lettura di un pezzo da me scritto a margine dell’evento e pubblicato dal mio direttore di allora (maestro di sempre) per il settimanale Monitor.
Buona lettura a chi vorrà.
“C’è un albero all’Eremo del Sorriso di Erice, uno di quelli che non puoi dimenticare. Ha trecento anni e due poderosi rami: su uno crescono limoni, l’altro invece regala succulente arance. E’ stato innestato, qualche secolo fa, da un frate cappuccino che viveva sull’eremo. Il convento, oggi riconvertito in struttura ricettiva, è ancora gestito dai frati. E l’albero degli agrumi è ancora li. A testimoniare che gli innesti funzionano. Quell’albero è diventato il simbolo di Fly For Peace. Un innesto anche questo, un esperimento che ha voluto lanciare un messaggio di pace proprio dall’eremo di Erice, sfruttando la potenza e la suggestione degli aerei militari.
All’eremo hanno alloggiato tutti i relatori e i moderatori dei Dialoghi di Pace che dal Centro Ettore Majorana hanno divulgato la loro testimonianza di vita in un momento storico in cui la morte sembra avere la meglio.
Israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei e musulmani, hanno condiviso lo stesso tetto e la stessa tavola a dimostrazione che la pace oggi è possibile. Uomini di fede diversa ma uniti dall’idea di un Dio universale e onnipotente che porterà il bene e vincerà sul male.
Economisti, scienziati, giornalisti ed astronauti hanno varcato la soglia della plenaria del centro Ettore Majorana per spiegare ai curiosi accorsi da ogni parte d’Italia che la pace va costruita giorno dopo giorno da ognuno di noi, nessuno escluso. Da Parmitano, a Ashraf al-Ajtami, passando per Shady Hamadi, ognuno per la sua esperienza, ognuno con la propria fede e con la propria speranza. Anche Sulemain Baraka, l’astrofisico che i bimbi che vivono nella striscia di Gaza chiamano ‘L’uomo delle stelle’ perché li spinge a superare il terrore di guardare in alto, verso gli astri, attraverso il telescopio: “Perché dal cielo – dice l’astrofisico – non arrivano solo bombe e distruzione.
Ma bellezza e grandiosità”, avrebbe voluto essere della partita. Ma superare la striscia di Gaza in questo momento strico non sarebbe stato saggio. Lui che continua a parlare di pace e di speranza, lui che un figlio lo ha perduto durante l’operazione Piombo Fuso per mano degli israeliani sulla Striscia, lui che è stato mortificato e incarcerato. Il bigliietto per venire a Erice e parlare per Fly for Peace lo aveva già fatto. Sarebbe stato bello ascoltarlo guardandolo negli occhi… E’ stato meglio sapere che è rimasto al sicuro.
Per Fly for Peace parlerà la prossima volta, se vorrà ancora. La prossima volta, già... Ma ci sarà mai una prossima volta per Fly for Peace?
Spiegare che cosa è stata questa esperienza, quanti profondi solchi abbia lasciato dentro, non è affatto semplice. Vedere la forza, la rabbia, la determinazione di un padre, un uomo che nonostante la sorte avversa e la malattia continuava a parlare di divina provvidenza e di volontà del Signore è stato shoccante e disarmante allo stesso tempo. “Stai tranquilla – mi diceva – sono troppe le cose che trovano da sole la loro collocazione naturale. Vuol dire che siamo sulla strada giusta, che così deve essere e così sarà”.
Giorgio però non poteva sapere che l’espressione: “Stai tranquilla” nella testa della sua interlocutrice equivaleva a sganciare il carico di una Canadair di benzina su una foresta in fiamme!
A mano a mano che Fly for Peace prendeva forma e che “le cose si sistemavano da sole” la forza delle parole però, la fede nella realtà oggettiva e imprescindibile, nella logica inconfutabile delle umane cose, il fuoco perenne nella foresta in fiamme, si allontanarono lasciando spazio al dubbio e all’incertezza. Può la forza di un padre, la disperazione di un uomo innamorato della sua famiglia, fare tutto questo? Come può un’anima inquieta e perennemente alla ricerca, stare calma?
L’alchimia (continuo a chiamarla così) che si è materializzata in quei giorni è difficile da spiegare: c’erano sindaci e vescovi, general manager milanesi e artigiani siciliani, operatori e fornitori, frati e generali lontani anni luce tra loro e per certi versi addirittura incompatibili l’uno con l’altro, tutti incantanti attorno alla stessa idea, tutti innamorati ed ‘inebetiti’. Poi, dopo il Viaggio umanitario a Beirut sotto l’egida delle Nazioni Unite, dopo i Dialoghi di Pace, dopo l’inaugurazione della Torretta Pepoli messa a nuovo dopo il restauro, dopo le musiche e le poesie dei ragazzi di Rondine che hanno pervaso piazza Vittorio e incantato l’intero Villaggio della Pace, quando gli aerei delle Frecce Tricolore hanno solcato il cielo di Trapani regalando vibrazione ed emozioni… Mentre lo speaker dell’Aeronautica militare spiegava e rispiegava che aerei ed elicotteri non sono soltanto strumenti di guerra… Quando le oltre centoventimila persone che hanno invaso Trapani per assistere al primo Air Show della storia della città, erano col naso all’insù a fissare le acrobazie di Fornabaio e le evoluzioni delle Frecce tricolore… Mentre le lacrime rompevano gli argini ormai vinti e scendevano finalmente copiose lungo le guance arse dal sole…
Il pensiero andava all’albero di agrumi su all’eremo di Erice e alle parole di frate Antonio Maria Tofanelli, francescano di Assisi e presidente di Flay for Peace: “Grazie per il meraviglioso spettacolo. Ci sono voluti trecento anni e il lavoro paziente di tanti uomini perché noi potessimo ammirarlo”.
di Carmela BARBARA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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