Ultime della sera: “Discorso semiserio sul mondo con pretesto sanremese”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
01 Febbraio 2021 19:58
Ultime della sera: “Discorso semiserio sul mondo con pretesto sanremese”

di Giacomo BONAGIUSO Discutiamo, animosi, ormai su tutto: una tuttologia imperante, devastante, spesso superficiale, che non si occupa di scavare nelle cose, dove di solito risiede il significato, ma solo di spolverarne la superficie, dove di solito risiede la polvere. Il tatto e gli occhi possono ingannare, sebbene restano, da Aristotele a Condillac, i sensi che separano un razionalista da un empirista. Questioni accademiche? Non troppo, se è vero come è vero che le cose sono significati solo se connesse tra di loro, con noi, con gli altri.

Un coltello non è buono o cattivo, così come un sindaco. Per il coltello vale il principio di uso, per un sindaco il principio d’azione. Un coltello può tagliare bistecche ed essere sommamente utile, o squarciare gole, ed essere quindi usato oltre la sua natura domestica, come arma. “Questa mano può esse fero e può esse piuma: oggi è stata piuma!” - così ammoniva l’indimenticabile Mario Brega, che in “Bianco Rosso e Verdone” interpretava il camionista detto “Er Principe”. Er Principe, sommo filosofo, dimostra in modo inequivocabile che il senso delle cose, il loro “nome”, sta nell’uso.

“Il significato è l’uso” avrebbe detto in modo assai meno efficace per il grande pubblico, Ludwig Wittgenstein, il filosofo che abbandonò l’Università per andare ad insegnare in una scuola elementare. Altri tempi. Altri esempi. Restando alle cose, al loro significato, oggi siamo travolti dalla Questione Sanremo. Sanremo non il santo, che pure vorremmo invocare di fronte alle recenti esternazioni di qualche pastore della chiesa lilybetana (che si è recentemente prodotto in una sguaiata condanna non già della interruzione di gravidanza consentita in Italia da una Legge sofferta, ma Legge, ma dello stesso diritto della donna e dello Stato).

Nomina sunt consequentia rerum, ci ha ricordato nientedimeno che Matteo Renzi: a questo si doveva venire! avrebbe detto Shakespeare nell’Amleto. Insomma, la questione resta una. Che tutti abbiamo una opinione su tutto, e che lo spazio web è diventato una specie di arena dove il gladiatore che brandisce meglio un coltello da cucina, in modo improprio, o contesta il diritto di una Legge dello Stato, che è costata sangue, sudore e sofferenza, o chi vende meglio la pelle dell’orso, senza che abbia mai visto un orso, può inquinare il pozzo comune dell’acqua.

Già, questo accade: che il pozzo dove io, tu, lui, e l’altro ancora si abbeverano, venga avvelenato da taluni. Si avvelena, quindi, non un dibattito, come quelli che si sono fatti nella storia e nelle città, perché i dibattiti non avvelenano ma fanno crescere; ma brandire parole e cose che non si conoscono a fondo avvelena l’aria, l’acqua comune con una miriade di frecce, freccette e colpi di mazze. Forse il lettore avrà intercettato la mia ripugnanza ad occuparmi di Sanremo come Sanremo, ovvero di quella “cosa”, prodotto, rassegna, kermesse, che Amadeus pensa di realizzare in modo metafisico, fuori dalla storia, dal tempo, dalle regole, dalle norme, in una “bolla” sospesa al di là del tempo, del diritto, del virus, degli effetti di una pandemia mondiale che da quasi un anno ci tengono lontani, e lontano da ogni luogo di aggregazione sociale.

Ma la cosa, appunto, come abbiamo detto in premessa, non è né buona né cattiva; è solo una cosa. E se riflettiamo sulle premesse all’opinare che abbiamo steso, e non a caso, la norma generale non è norma contro Sanremo, ma a garanzia della pubblica salute. Sembrerebbe scontato, dunque, che non si possano pensare eccezioni, se non restando appunto alla superficie della cosa, alla polvere. Sono chiusi teatri grandi, grandissimi, e piccoli, non ristorati tra l’altro, ma assai essenziali nella periferia dell’impero per la gente comune.

Sono teatri che non brillano per notorietà ma che salvano dalla disperazione della quotidianità persone e persone, senza jingle e senza musichette, senza stacchetti, scale, chilometri di stilisti in gara per il vestito più ammiccante. Perché poi un vestito è un vestito, abbiamo detto, e può essere piuma o ferro, in relazione a chi lo indossa. A come si indossa. Discorsi del genere, e altri, ci fanno credere che la musica non morirà se non morirà tutto l’indotto della cultura, e non morirà se Sanremo, anche Sanremo, si dovesse misurare con la realtà profonda del nostro tempo, e non con la vulgata stupida del The Show Must Go On che, anche in questo caso, non significa ridere e ballettare in un’orgia di pubblico nonostante fuori sfreccino ambulanze e si muoia davvero.

The Show Must Go On nasce per restituire al mondo dello spettacolo dal vivo la sua capacità di resilienza, capacità di trasformare le cose e le parole, dopo un lutto, rispettando appunto il senso delle cose e delle parole. Montare la polemica stupida che si è montata - per fini chiaramente di audience, maledettissima parola che misura la qualità in quantità - mostra però una miseria che il mondo dell’arte subisce come un ricatto. Il lavoro è davvero poco, misero, se non sei la nuova velina o la starletta per un anno prodotta dalla fabbrica di mostri di Maria De Filippi; il lavoro è poco e, dunque, la gara a sopravvivere fa sì che nessuno di questi Big che magari cantavano sul balcone, ora che i morti sono troppi di più, ma che la nostra tolleranza si è adattata alla morte, abbia detto “no, grazie”.

Non lo ha fatto Morgan che anzi ha innescato la polemica contro Buio, perché tutti, anche gli eversivi, vogliono esserci alla Domenica In nazionalpopolare della musica. Anche gli sperimentatori col sequenzer; anche i benefattori di Milano, che anzi, forse, timidamente hanno fatto comparire il primo timido gesto di dissenso, sempre in modo pubblicitario, editando 10 secondi della canzone in gara, ed esponendosi dunque all’unica buffonata seriosa di Sanremo: il famigerato regolamento. Parliamo di Fedez, naturalmente.

Nomina sunt consequentia rerum: vero. Ma è vero anche che stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Ed oggi, noi, non abbiamo nè rose nè nomi: solo tanta, troppa polvere. Viva la musica, adunque, e viva sanremo. Ma non ora, non così, non in spregio alle regole comuni. I pozzi vanno preservati sempre. Altrimenti si accende la legittimità della rivolta; una rivolta che ricordi agli dei della Rai che l’unico presidio civile che abbiamo per bloccare paragoni penosi e derive autoritarie, insulti e veemenze, è che la legge (imperfetta per quanto sia) resti sempre uguale per tutti.

Se si rompesse questa bilancia, si romperebbe il mondo. Perché se si rompe il senso, si rompe anche l’uso.   La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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