Sei stata una delle prime scrittrici che ho conosciuto. Ero appena adolescente quando mi ritrovai fra le mani il tuo capolavoro, “Canne al vento”. Lo lessi con una commozione profonda, sfociata in lacrime, al termine dell’ultima pagina. Quella storia così coinvolgente nella sua tragicità mi emozionò tantissimo, anche se ancora non potevo capire l’essenza del messaggio che trasmettevi attraverso le tue parole. Dopo quel libro mi sono dedicata ad altri autori e di te non ho letto più nulla.
Per me sei rimasta legata a “Canne al vento” e a quel periodo della mia vita. Sei rimasta nei miei ricordi come la scrittrice sarda , vissuta tra il XIX e il XX sec. Premio Nobel per la letteratura. Nota anche per aver avuto in vita dei rilevanti contrasti con Luigi Pirandello. Mi ero persa quello che di più profondo c’era nella tua anima e di cui sono intrisi i tuoi personaggi. Così. per approfondire meglio la tua conoscenza, sono partita proprio dal tuo rapporto con il grande drammaturgo siciliano.
Lui non ti perdonava di essere riuscita a realizzare la tua vita come donna e di aver portato a termine i tuoi progetti di aspirante scrittrice, pur partendo dalla stessa immobilità, tipica delle società isolane, che aveva condizionato inesorabilmente la tua e la sua esistenza. Ma tu non ti sei lasciata piegare dalle sue insinuazioni, né abbattere da quella ironia che puntò a colpirti direttamente, proprio nella stesura del libro “Suo marito”, rivolto a te e al tuo consorte, Palmiro Maldesani , che per Pirandello era soltanto un tuo sottoposto, denominato in senso dispregiativo “Grazio Deleddo”.
Non ti sei difesa attaccandolo, ma mostrando il ritegno di cui eri capace in modo esemplare. C’era una forza formidabile in te , che nasceva da una fame di vita e di libertà e che ti portò ad andare sempre avanti e a perseguire i tuoi obiettivi, nonostante i molti ostacoli incontrati. Dovesti raccogliere tutta la determinazione possibile per portare a termine il tuo progetto, ribellandoti alla tua famiglia e ignorando le critiche provenienti da un ambiente chiuso e culturalmente povero. Tu reagivi a quella ristrettezza leggendo, viaggiando attraverso i libri, sostando con l’immaginazione nelle più vivaci capitali europee e intrattenendo con gli autori stranieri un intenso rapporto intellettuale.
Nel fitto carteggio con scrittori e critici letterari, esprimevi tutta l’umanità che non avevi paura di mostrare . Facevi un’analisi molto razionale di te stessa e avvertivi i tuoi interlocutori dei tuoi limiti. A De Gubernatis scrivesti: “ Ma sappi caro Angelo, che io sono brutta, non so parlare, non so vestirmi, non amo e non posso amare”. E in un altro passo affermavi di avere difficoltà a scrivere in italiano. Tu, che ventisei anni dopo avresti ottenuto il premio Nobel per la letteratura! Non era assolutamente falsa modestia, la tua, ma una presa di coscienza che andava al di là delle tue capacità e che ti teneva legata alla tua terra, all’ambiente sociale dal quale provenivi.
Un’analisi fredda, dalla quale cercavi di tenere fuori le emozioni. Così a Stanis Manca, di cui fosti tanto innamorata e che ti ferì profondamente, ti rivolgesti, quasi a voler giustificare il suo comportamento, con queste parole: ''E' stata la sorte, le circostanze, le piccole eppur cosi' grandi fatalita' della vita che cosi' hanno voluto. Voi venivate da Roma, eravate aristocratico, giovine, artista; io ero troppo umile, troppo mal vestita, male acconciata, in un ambiente troppo meschino (...) per non spoetizzarvi e apparirvi minuscola.
Ci siamo conosciuti troppo presto, ecco tutto. Ora dimentichiamo il passato. E cosi' sia''. Ti consegnavi all’ineluttabilità del destino e riservavi tutto il tuo sentire ai tuoi personaggi. Loro vivevano le passioni e da esse ne erano abbattuti, come canne al vento. Nessun lieto fine concesso. Eri convinta più che mai dell’impossibilità di essere felici in una condizione umana che condanna alla non vita. In cui ogni tentativo di vivere appieno la vita è contrassegnato dal senso di colpa.
Tutti i tuoi personaggi sanno di dover lottare contro “lo spavento della vita” e immancabilmente ne escono sconfitti, indotti, pur contro la loro volontà, a rinunziare a ciò che amano di più. La libertà, tanto desiderata , deve piegarsi alle norme sociali e religiose che impongono l’unico modo possibile di stare al mondo. Ecco perché, nella rinuncia emozionale a vivere, paradossalmente, il destino apre le sue braccia e ti accoglie. E così, tale consapevolezza e autodeterminazione ti portarono ad attraversare i binari della realizzazione personale e del successo di scrittrice, a tal punto da affermare, senza alcun dubbio, <Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino>.
Josepha Billardello