Venivamo da due settimane frenetiche, noi irriducibili consumatori di tv, web, social. Dopo le estenuanti maratone Mentana e Sanremo, questo lunedì ci prospettava una voragine preoccupante: l’assenza di argomenti social di discussione.
Non che non ci servisse un periodo di riposo, dopo settimane trascorse a commentare, indignarci, celebrare, postare, twittare, retwittare, con un telecomando in una mano e il telefonino nell’altra. L’elezione del presidente della Repubblica ci aveva sfiancati. Neanche ci fossimo stati noi a Montecitorio a correre da un ufficio all’altro ad intavolare trattative, tessere accordi e poi disfarli, tradire alleati per poi correre in aula a votare e infine giù dai giornalisti a cantare vittoria salvo essere nel frattempo smentiti o sabotati.
Avevamo iniziato questa maratona presidenziale empatizzando col presidente Mattarella, in una sorta di “Presidente perdoni loro perché non sanno quello che fanno”. Lo immaginavamo felice al pensiero della nuova vita da pensionato, di godersi i nipoti, di andare al cinema nel quartiere Prati dove si sarebbe trasferito. Seguivamo il camion dei traslochi fare la spola tra Palermo e Roma con una tenerezza intrisa di nostalgia. Ne sentivamo già la mancanza. Il pensiero che rimanesse apparteneva alla sfera del sogno, dell’utopia e, sospinti dall’amore incondizionato di chi vuole solo il bene dell’amato, guardavamo con sdegno la cialtroneria di quei parlamentari che, incapaci di trovare un successore, gli stavano costruendo attorno una trappola infame.
Per questo, mentre il Presidente, nel suo accorato discorso di re-insediamento, ripeteva diciotto volte la parola dignità, noi in cuor nostro gli chiedevamo già perdono per la nostra malcelata felicità di riaverlo al Quirinale per altri sette anni. Al diavolo il trasloco, gli scatoloni, la caparra, la nuova vita da pensionato - ci siamo detti in cuor nostro – superando in cialtroneria gli stessi parlamentari che biasimavamo nei giorni precedenti!
Ma nel frattempo noi eravamo già passati oltre, eravamo sbarcati a Sanremo, pronti ad indignarci per Checco Zalone e il suo monologo sui trans, per Fiorello che non fa più ridere, per le co-conduttrici costrette a giustificare la loro presenza con sermoni impegnati da predicatrici improvvisate. Ma poi ecco che la narrazione cambia, arrivano Drusilla, Maria Chiara e Sabrina a scompaginare tutto e a dimostrare che se una donna è brava può salire sul palco con leggerezza, eleganza ed ironia senza inutili piagnistei. E tutti lì a commentare, ad esultare, ad applaudire.
Ci sentivamo già orfani di un rituale collettivo che di questi tempi consola e rafforza il senso di appartenenza facendoci sentire parte di una comunità, che quel gran genio di Fabio Fazio ci serve uno dei suoi colpi da maestro: il Papa in tv.
No, non è la Via crucis del Venerdì Santo né l’Angelus della domenica, è proprio Papa Francesco ospite di Che tempo che fa.
E così ci ritroviamo di nuovo uniti, in un abbraccio ideale, sotto la coperta calda delle parole del Santo Padre. Dopo Mattarella e Amadeus è il Papa a restituirci il senso di un’appartenenza: la nostra aderenza al Vangelo, che, sia per i cattolici che per i laici, rimane un punto fermo, una certezza, un faro nella notte. E ci ricorda che è da cristiani - proprio così - condannare l’inferno dei campi libici, il trattamento criminale riservato ai migranti, i respingimenti. Ci fanno commuovere le sue parole sul valore dell’amicizia, sul ruolo dei genitori.
E poi la definizione di umorismo come medicina e, a proposito di medicina: la sua passione per la chimica, il desiderio di studiare medicina stoppato poi dalla vocazione sacerdotale. Un Papa pop e anche un po' scienziato, che amava ballare il tango, che scherza e che preferisce cenare con gli amici. È un uomo dal cuore puro, il Santo Padre, e ci regala un messaggio che spezza le catene della solitudine, che condanna l’indifferenza e l’odio, che riesce ad infondere speranza e leggerezza in questi tempi cupi.
di Catia CATANIA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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