“Teatro, amore mio”. “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller

La più grande commedia americana: dall’illusione dell’ “american dream” alla delusione…

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
30 Marzo 2022 11:54
“Teatro, amore mio”. “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller

Tracciando bilanci del secolo che si concludeva, agli inizi dell’anno 2000 la rivista Time elencò i dieci lavori teatrali più significativi del Novecento. Il primo posto assoluto toccò a “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello. Il secondo andò a “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller: senza alcun dubbio la grande commedia americana, quella che gli americani sentono come più autenticamente “loro”.

“Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller è la storia di un piccolo uomo e del sogno più grande di lui. È una tragedia moderna che rivela il lato crudele del sogno americano. Willy Loman vuole così tanto essere “benvoluto”, che spesso trascura il fatto di essere amato. Infatti, contrariamente a quel che pensa, la sua famiglia lo adora: sua moglie ha votato a lui la sua esistenza; suo figlio minore Happy lo imita fino al punto da avere i suoi stessi sogni (sbagliati); Biff invece nutre nei suoi confronti uno strano sentimento di odio/amore ma sicuramente vince l’amore.

E Willy Loman è uno dei personaggi teatrali più tragici del ventesimo secolo. Nella sua mente c’è qualcosa di fratturato. Ci sono diversi momenti in cui si rende conto che la sua famiglia è più importante del denaro. Ad esempio, quando sua moglie gli dice che hanno quasi pagato la casa, afferma: “Lavori tutta la vita per pagare le rate del mutuo, e quando la casa è finalmente tua, non c’è più nessuno che ci vive.” Willy Loman sogna un futuro che non è in grado di raggiungere; perché vive in un paese che all’apparenza offre illimitate opportunità e lui va alla ricerca disperata del successo, l’ “American dream”.

Ma fallisce, e non riesce a perdonarsi. E fallisce per aver creduto eccessivamente nel sogno americano, che non lo ha ripagato, e questo gli ha fatto perdere autostima.Adesso vive coltivando un’accecante idolatria per tre uomini di successo: suo padre, fabbricante e venditore di flauti; suo fratello Ben, andato a cercare fortuna in Alaska, e che adesso è diventato una specie di ossessione per lui; Dave Singleman, un vecchio commesso viaggiatore di 84 anni che Loman aveva conosciuto tanti anni prima, quando doveva decidere se cambiare lavoro, o continuare fare il venditore.

I sogni di Willy sono tutti sbagliati, e lentamente la sua vita va in disfacimento; come la casa in cui abita. Il fatto di non essere riuscito ad avere la stessa fortuna di questi suoi tre miti, gli fa provare un forte senso di vergogna e di inadeguatezza. Da qui la necessità di riversare su suo figlio Biff, delle aspettative di successo troppo grandi e irrealizzabili per lui. Quest’altro fallimento, non riesce proprio a perdonarselo. Anche perché pensa di avere una grossa responsabilità.

Infatti, molti anni prima, durante un suo viaggio di lavoro a Boston, è accaduta una cosa, a cui continua a pensare come un ossessione. Ora nella sua testa c’è troppo rumore: fughe di pensieri si accavallano e lo portano a confondere il presente, col passato e con il sogno. Comincia a combattere con la tentazione di fare un gesto estremo che gli faccia riconquistare la stima dei suoi figli e assicurare loro un futuro economicamente più sereno. Allora abbraccia il volante della sua auto, e si mette alla guida per l’ultimo viaggio e si suicida.

Perché il Commesso colpisce così profondamente? E perché è così americano ma allo stesso tempo, così internazionale? Perché è la storia di un sogno; la storia di un piccolo uomo e del suo sogno più grande di lui. È un commesso viaggiatore che si guadagna da vivere con la parlantina, e ha allevato i figli al culto dell’apparenza e della superficialità; a disprezzare il cugino secchione e a puntare tutto sull’effimero; a essere attraenti, popolari, campioni sportivi. Ma ha finito per farne dei falliti, soprattutto il maggiore, Biff, la luce dei suoi occhi, che però una volta questo padre deluse, distruggendo la propria immagine.

Da allora il ragazzo ha perso ogni spinta e coltiva le proprie frustrazioni. Un lavoro teatrale che colpì ai suoi tempi per la novità, stimolando i registi (Elia Kazan, Luchino Visconti furono i primi) a trovare soluzioni per una narrazione di tipo cinematografico, con brevi scene in più luoghi e con un continuo altalenare tra presente e passato. (in foto copertina il personaggio di Willy Loman interpretato da Dustin Hoffman nella trasposizione cinematografica di Volker Schlöndorff nel 1985 ).

Sul palcoscenico “Il Commesso” mischia verità e allucinazione sotto gli occhi del pubblico, e nella testa del protagonista, nella quale noi spettatori, a differenza dagli altri personaggi, siamo chiamati a entrare. Ne risulta una macchina di teatro che è rimasta appassionante e attuale oggi come ai giorni del suo debutto.

Salvatore Giacalone

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