“Teatro, amore mio”: “La voce umana” interpretata dalla grande Anna Magnani

Nella rubrica settimanale l’opera più celebre dello scrittore francese Jean Cocteau, ripresa anche da Roberto Rossellini

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
23 Febbraio 2022 06:53
“Teatro, amore mio”: “La voce umana” interpretata dalla grande Anna Magnani

Tu hai mai pianto per amore? Io sì, che d’amore ho pianto, e ho gridato, e mi sono rotolata per terra, come una bestia ferita, e se qualcuno mi vedeva, non me ne importava niente. Nella vita, per amore, c’è da impazzire, c’è da ammazzare”. E’ così, è come diceva Anna Magnani, come sentiva e viveva e faceva lei, per un amore, o per la sua illusione, mettersi a urlare, a strisciare, per terra, a mendicare, perdendo ogni dignità”. Lo scrive Matteo Persica, autore del libro su “Anna Magnani. Biografia di una donna”. Perché Anna Magnani? Perché lei è stata la grande interprete de “La voce umana” un’opera del 1930, la pièce più celebre dello scrittore francese Jean Cocteau.

Hanno scritto i giornali dell’epoca: “L’interpretazione della Magnani costituisce l’alfa e l’omega, parabola di un’estinzione cruenta del soggetto femminile che è anche la fine di un mondo. Una interpretazione con imprimatur d’autore destinata quindi a porsi come unica e senza alternative... Ma potenzialmente in grado di stimolare una riflessione densa di interrogativi”. E Anna Magnani (vedi in foto copertina) è stata anche la splendida protagonista de “La Voce Umana” nel film di Roberto Rossellini ma resta il palcoscenico l’imprimatur di un’attrice che ci spiega con la piece di Cocteau di quanto si può soffrire per amore, come lei ha sofferto “come una bestia ferita, c’è da impazzire per amore”.

In scena, in una camera con un letto sfatto, è presente solamente una donna al telefono. L’apparecchio suona, ma in quella camera che sembra essere ritagliata nel buio, il segnale è stentato e la conversazione procede faticosamente e a singhiozzo. Elegante, ma scomposta, la donna si affanna per cercare di rimanere attaccata all’ultima telefonata con l’amante. L’ultima, drammatica, conversazione che, con la scusa di concordare come smaltire le scorie dell’amore – una valigia con pochi vestiti e le lettere scambiate negli anni, da bruciare, il cane, inconsolabile e rabbioso – le permette di sentire ancora la sua voce.

Cocteau scrive un monologo così perfetto che si ha la sensazione esatta dell’articolarsi della conversazione: la tenerezza malcelata, la preoccupazione che entrambi gli interlocutori nutrono per la salute dell’altro, il tentativo goffo della donna di suggerire ancora il sentimento nascondendo un «amore mio» dietro ogni intercalare. Il monologo telefonico rivela, nel procedere, risvolti sempre più amari mostrando come la donna, abbandonata, si riscopra priva di appigli e di amicizie, sola al punto da disperarsi e tentare il suicidio, prostrata dall’impotenza nei confronti dell’epilogo imminente della storia d’amore con l’uomo all’altro capo del filo.

“La voce umana” è un testo indiscutibilmente complesso, doppiamente difficoltoso da interpretare in quanto, da un lato, impegna l’interprete a dare voce e animo anche al personaggio invisibile dell’uomo, dall’altro richiede un’autenticità assoluta dei sentimenti, per evitare di cadere in un’atona ripetitività. “La voce umana” è stata rappresentata anche a Mazara sul finire degli anni ’70 nel contesto di una rassegna di prosa. Protagonista l’attrice Nunzia Di Trapani del Teatro Biondo di Palermo. Un centinaio gli spettatori. L’ex chiesa, in quegli anni, era adibita ad aula consiliare ma anche a sala convegni e spazio teatrale.

Salvatore Giacalone  

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