“La pesca della memoria”. Filippo Ingargiola “munacheddru” racconta…

L’anziano ex capopesca ricorda quando salvò il peschereccio ed i compagni di bordo ed altri episodi

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
02 Febbraio 2022 17:19
“La pesca della memoria”. Filippo Ingargiola “munacheddru” racconta…

Terzo appuntamento con la nostra rubrica, in collaborazione con la “Casa del Pescatore”, dedicata alla pesca di Mazara del Vallo ed in particolare alla sua memoria storica attraverso il racconto di vecchi pescatori (e non solo): episodi curiosi, aneddoti etc. Incontriamo il capopesca Filippo Ingargiola “munacheddru”, 81 anni, sguardo pungente, dotato di grande vena ironica ci spiega la sua ‘ngiuria: “da quattro generazioni siamo detti ‘munacheddri’. Quando si andava a pescare con le nasse i miei antenati prendevano dei piccoli pesci neri, erano chiamati munacheddri”. Ingargiola ricorda: “quando ero piccolo si andava a pescare con le barche a vela, si andava a sarde, mi nascondevo spesso sotto la prua.

Ricordo che quando c’era caldo mio padre portava la famiglia in barca davanti l’attuale villa comunale, facevamo pesca con il 'cianciolo' (tipo più comune di rete da circuizione), si pescavano calamari, sauri e altri pesci”. Filippo Ingargiola da giovane ha iniziato a lavorare a bordo dei pescherecci di Mazara del Vallo, da quelli piccoli, prima in legno, e poi quelli più grandi costruiti in ferro. Si è messo in pensione nel 1999, l’ultimo peschereccio mazarese sul quale ha lavorato è stato il “Salvatore Caterina”, nelle zone di Lampedusa.

Nel corso della sua attività, Ingargiola, a bordo di altri pescherecci è stato sequestrato due volte, una volta Biserta, in Tunisia, ed una volata ad Anaba, in Algeria. “In entrambi i casi –sottolinea- in pochi giorni siamo stati liberati”.

Così l’anziano ex pescatore (in foto copertina) inizia il suo racconto: “circa un cinquantina di anni fa lavoravo a bordo del peschereccio 'Sicilia Manciaracina'. Eravamo in pesca al largo della Tunisia, vi fu una tempesta e dovevamo andare all’ancora davanti Biserta. Eravamo nelle vicinanze e la rete da pesca era ancora per terra di traverso e da ripulire dai pesci che si dovevano buttare in mare. Il comandante Pino Bono (di ‘ngiuria “li demoni”), ci chiede di sbrigarci a sbarazzare la barca per evitare problemi durante il maltempo; si misi a ‘vuciari’ cu mia e me frati, Nicola (primo motorista) e diceva di non vedere niente, non c’era visibilità, una foschia pazzesca.

Io mi trovavo a prua e mi affaccio e vedo che stavamo andando a schiantarci contro l’antimurale di roccia. Non avendo più tempo per avvertire il comandante, ho avuto i riflessi pronti vedendo il pericolo a pochi secondi di saltare ‘abbascio a machina” dicendo a mio fratello: avanti e dietro. Così tutto l’equipaggio ci salvammo da una sicura morte”. Lo stesso Ingargiola sottolinea di aver avuto sempre sangue freddo anche nei momenti più delicati: “anche quando ero soldato in Marina mi capitò in una grande situazione di maltempo di prendere in mano il timone per 27 ore del rimorchiatore d'alto mare “Atleta” conducendolo dalle temibili Bocche di Bonifacio fino in Toscana: capivu lu mari, pari chi ci nascì in mezzu”.

Francesco Mezzapelle 

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