La comunità ebraica nella storia di Mazara del Vallo, vittima dell’Inquisizione cattolica

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Gennaio 2021 12:45
La comunità ebraica nella storia di Mazara del Vallo, vittima dell’Inquisizione cattolica

La decisione è stata presa dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1° novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria, con la risoluzione 60/7. Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa, impegnate nella grande offensiva oltre la Vistola in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Quel giorno le truppe sovietiche della 60esima Armata del "Primo Fronte ucraino" del maresciallo Ivan Konev arrivarono per prime presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti.

L'apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati dentro a quel lager nazista. Ricordare e commemorare le vittime della “shoah” non significa affatto trascurare altri genocidi, né tantomeno stabilire inutili ‘priorità’ tra stermini e dolori di un popolo piuttosto che di altri popoli. Il Giorno della Memoria non è un omaggio alle vittime, ma semplicemente un riconoscimento pubblico e collettivo di un fatto particolarmente grave di cui l’Europa è stata capace, e a cui l’Italia ha attivamente collaborato.

La memoria storica della “shoah” non riguarda soltanto il popolo ebraico, ma l’intera umanità, perché da questi avvenimenti si possono trarre insegnamenti. Mazara del Vallo ricorda il periodo ebraico in cui visse alcuni secoli prima, quando ha ospitato migliaia di ebrei ed è  difficile stabilire con precisione quando si sono insediati in città,  data la mancanza di fonti documentarie e archeologiche; probabilmente essi seguirono il percorso della grande diaspora che ha il suo culmine nel sec.

VI d. C. e il suo epicentro nella Sicilia orientale (soprattutto Siracusa, dove vi sono importanti testimonianze). Altri gruppi si aggiungono numerosi durante la dominazione musulmana. Proprio a questo periodo i maggiori studiosi riconducono la costituzione del nucleo ebraico. Altri documenti importanti dimostrano che la comunità di Mazara aveva un’organizzazione autonoma, e precisano anche la quantità di oro da versare “al rapacissimo regio fisco” in diverse e speciali circostanze. Più volte gli Ebrei di Mazara parteciparono economicamente alle vicissitudini civiche e del territorio: essi, infatti, in tutti gli atti pubblici venivano considerati cittadini e non stranieri! Abili mercanti, commerciavano a fianco di genovesi e pisani.

La maggior parte si dedicava all’agricoltura, alla pastorizia, all’artigianato; in particolare essi erano fabbri, tessitori, tintori, tagliatori di pietra (pirriaturi), falegnami, muratori, bottegai, ma anche farmacisti e medici di valore. Ma quello che è poco noto è che vi era anche un’attività intellettuale di levatura tra gli Ebrei di Mazara; la cittadina costituiva anche un buon mercato librario, dove si distinguevano eruditi come Callimaco Monteverde (ebreo poi convertito al Cristianesimo), autore di un “De laudi bus Siciliae”.

Si stabilirono nel centro antico della città e, nel cuore del quartiere ebraico, tra la Piazza S. Michele e la piazzetta della reggia-fortezza del sultano Ibn Mankut, c’è la Via Goti dagli antichi edifici, erosi dal tempo. Il toponimo deriva dal nome Li Voti, un ebreo, abitante in questa strada che l’addetto alla toponomastica nel 1865 erroneamente cambiò in Goti. Questa via, larga circa cinque metri, ad impianto urbanistico di stile islamico, dopo lo sbocco nella Piazza Marchese, adesso Piazza Francesco Modica, un tempo, proseguiva fino a raggiungere la via Bagno e andava a respirare la salsedine marina, la sabbia del vento africano e ad origliare il rauco grido dei gabbiani nella piazza dei pescatori.

Ancora persiste, accanto all’ex cinema Diana, il vicolo che sboccava nella Piazzetta Marchese. (in foto copertina il pannello in ceramica, posto all’ingresso di via Goti da piazza San Michele, e riportante i quartieri dell’antica Città di Mazara). L’arte medica degli Ebrei era stata sempre apprezzata, pur tuttavia aveva ingenerato dei contrasti con la categoria dei medici cristiani quando nel 1488 la regina Giovanna aveva concesso ai medici Ebrei il privilegio di esercitare la libera professione anche presso i Cristiani.

L’istanza, avanzata dai medici cristiani alla Curia vescovile, soprattutto per motivi di gelosia e concorrenza, non ebbe gli effetti sperati. Il 31 marzo 1492 Ferdinando il Cattolico emise l’editto d’espulsione degli Ebrei. L’ordinanza imponeva l’abbandono dell’isola e la confisca dei beni nel caso di mancata conversione o di permanenza. Gli Ebrei abbandonarono la terra natia di Mazara il 12 gennaio 1493. Rimasero i cristianizzati che subirono molte angherie. L’allontanamento disastrò l’economia mazarese, tanto che si rese necessario, nel periodo immediatamente successivo, la riduzione della gabella delle carni per consentirne l’acquisto ai cittadini.

Scomparvero alcune attività artigianali e commerciali esercitate dagli Ebrei e sopraggiunsero quartieri disabitati, officine e botteghe chiuse, terre abbandonate in nome di un’intolleranza insensata. Ma i supplizi per i pochi Ebrei cristianizzati non erano ancora arrivati alla fine. L’8 novembre 1500 il bando dell’inquisizione imponeva altre crudeltà. Non erano stati sufficienti, dunque, i tributi iniqui per la loro condizione di Ebrei, la rinuncia al credo religioso e la coatta scelta di una religione che non era quella degli avi, la perdita della identità ebraica persino nel nome latinizzato, adesso le autorità dell’inquisizione sollecitavano i concittadini cristiani alla delazione, cioè ad una denunzia segreta motivata da ragioni riprovevoli, ovviamente falsa, dietro compenso.

In questo periodo del XVI secolo nacque il ghetto poiché fu imposto agli Ebrei di vivere nel loro quartiere, inteso non più come libera scelta residenziale. Gli Ebrei della città di Mazara,  cristianizzatisi non certo per fede, ma solo per necessità, non poterono essere dei buoni cristiani, oltre a non essere stati dei buoni ebrei, e non poterono eliminarele loro usanze religiose e le tradizioni. Alcuni non ne furono capaci pur tentando, altri si rifiutarono di farlo accettando persino la condanna al rogo.

Soltanto nel 1782 fu posta la parola fine. Chi si sofferma oggi, nella Via Goti o in un vicolo qualsiasi della Giudecca diruta, avverte un silenzio profondo, figlio della solitudine e dell’abbandono, un silenzio antico di secoli, forse lo stesso che accompagnò gli Ebrei nel loro viaggio senza ritorno. Salvatore Giacalone      

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