Ci vorrebbe don Milani, e un “I care” in ogni scuola

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
09 Gennaio 2020 19:50
Ci vorrebbe don Milani, e un “I care” in ogni scuola

“Caro Michele, caro Ferruccio, cari ragazzi...ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze...” E' questo il testamento che don Lorenzo Milani, morto il 26 giugno del '67, a soli 44 anni, lascia ai suoi ragazzi, i ragazzi della scuola di Barbiana. Quando don Milani, all'età di 31 anni, viene assegnato alla parrocchia di Sant'Andrea di Barbiana, nel Mugello, Barbiana non si può definire neanche un piccolo paese: ci sono soltanto una parrocchia, una povera canonica, un cimitero, quattro case sparpagliate sul cocuzzolo di una montagna, una manciata di abitanti, senza luce né acqua corrente.

Gli abitanti sono pastori e contadini, e vivono in condizioni durissime, per portare faticosamente a casa, la sera, un pezzo di pane. Don Lorenzo capisce subito che i figli di quei pastori e di quei contadini andranno ben presto a prendere il posto dei padri, destinati anche loro, sin da bambini, ad una vita di fatica, di privazioni, di sfruttamento. Che ben presto usciranno dalla scuola pubblica, una scuola che non avrà dato loro niente, che non gli avrà insegnato a leggere, a scrivere, a far di conto e che, proprio perchè poveri e privi di qualsiasi prospettiva di ascesa sociale, li avrà defraudati del loro diritto all'istruzione e, per mezzo di essa, del loro diritto ad emanciparsi.

Nasce cosi la scuola di Barbiana, sotto il pergolato della canonica. Inizia come doposcuola, poi diventa corso di avviamento professionale, infine corso di recupero della scuola media unificata. Don Milani accoglie tutti: poveri, diseredati, emarginati, ragazzi senza altre alternative, spesso bocciati o respinti dalla scuola ufficiale. Non ha dubbi, don Milani: è la lingua che fa uguali, è attraverso il potere delle parole che passa il riscatto sociale di ciascuno, è la parola che dà diritto di cittadinanza all'individuo nella società.

Ed è la scuola che rende uguali, che mette insieme il figlio del ricco con il figlio del povero, dando loro le stesse possibilità: i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti di studio. “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata”, scrive don Milani. Le parole diventano personaggi che ci conducono ovunque, che ci permettono di aprire tutte le porte, che ci aiutano a difenderci, a non farci ingannare, le chiavi miracolose che ci permettono di discutere da pari a pari con l'avvocato e con l'ingegnere.

Non è il titolo di studio in sé ad elevarci, ma la nostra padronanza del linguaggio e delle parole E' questo l'insegnamento più forte che esce dalla scuola di Barbiana, è questo il suo testamento spirituale . Una scuola dove non ci sono bocciati né rimandati, una scuola aperta a tutti, e che annulla le differenze. La scuola di Barbiana va però oltre, teorizza un metodo, fornisce una visione, diventa un seme che germoglia. “Lettera ad una professoressa”, scritto dal priore di Barbiana insieme ai suoi ragazzi, è un libro che dà voce agli esclusi, e che mira proprio a superare le diseguaglianze, affinchè la scuola pubblica diventi davvero il terreno di questa rivoluzione.

Si tratta di una spietata e provocatoria disamina della scuola pubblica di quegli anni, una scuola che boccia e che esclude, incapace di colmare le differenze tra il povero e il ricco, e di mettere in pratica i dettami della Costituzione sul diritto allo studio. “Il più bel libro che sia stato mai scritto sulla scuola italiana – lo definisce Gianni Rodari - il più appassionante, il più vero. Vi si respira e misura la rivolta, l'aspirazione inarrestabile alla cultura, dove muta una profonda presa di coscienza dei propri diritti.

Vorremmo consigliarlo a tutti gli insegnanti italiani, perchè, nella sua durezza, è un appello alla grandezza della loro missione, anche nella critica ingiusta è un canto d'amore alla scuola. Da quel libro abbiamo tutti da imparare: maestri, genitori, professori, giornalisti, uomini politici”. Su una parete della scuola di Barbiana campeggiava, grande, la scritta “I CARE”: Me ne curo, mi importa, ci tengo, mi sta a cuore. Che era il contrario del motto fascista “Me ne frego”. Una scuola che insegna, dunque, l'empatia, la presa in carico dell'altro, l'accoglienza, la cura e l'attenzione per le cose e le persone.

Che insegna a non voltare la testa dall'altra parte. Don Lorenzo Milani e i suoi insegnamenti non furono ben accolti né capiti dalla società e dalla Chiesa di allora (il 68 doveva ancoora arrivare) e fu anche sottoposto a processo, che si estinse poi con la sua morte. Due anni fa, in occasione del 50° anniversario della scomparsa, papa Francesco è andato a pregare sulla sua tomba, ma è già da diversi decenni che maestri, professori, educatori, si arrampicano sui sentieri scoscesi e polverosi che portano a Barbiana, alcuni fisicamente, altri solo metaforicamente, affascinati dalla figura rivoluzionaria di questo prete/educatore.

Ma quanto è attuale il suo pensiero, e quanto necessario il suo testamento spirituale, oggi, dopo 52 anni? Quanto serve, oggi che l'ascensore sociale è fermo come non accadeva da 30/40 anni, una scuola che non lasci indietro nessuno, dove anche il figlio del contadino, al pari del figlio del dottore, può diventare dottore? Quanto serve qualcuno che urli ai nostri ragazzi di imparare più parole possibile perchè le parole sono importanti, dopo che Tullio De Mauro ha lanciato l'allarme sul vocabolario che si è sempre più impoverito dei nostri ragazzi, passando dalle 1600 parole degli anni 70 alle poche centinaia di oggi? Quanto serve, oggi, quella scritta - I care - nella società narcisista, egoista, indifferente e votata al culto del Sè e del proprio simile come quella in cui viviamo? Che disprezza l'altro, il diverso, lo straniero? Un don Milani, ci vorrebbe, per questa nostra martoriata scuola pubblica , per ricordarci il senso di quell' “I care” che dovrebbe campeggiare all'ingresso di ogni aula! E ce ne sono, insgnanti/don Milani che se la stanno caricando sulle loro fragili spalle, la scuola pubblica, ma da soli non ce la fanno se manca il sostegno dello Stato e di tutti noi!   Catia Catania

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza