Ci voleva un virus per ricordarci come e quanto siamo fragili

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
25 Febbraio 2020 17:21
Ci voleva un virus per ricordarci come e quanto siamo fragili

...Come presuntuosi birilli che stanno in piedi solo fino a quando qualcuno o qualcosa li fa cadere. E così, arriva un  virus, un  “veleno”, se i mie ricordi  di latino non mi ingannano.  Ecco: un veleno, una  “cosa” di dimensioni submicroscopiche, che vive da parassita e che per replicarsi ha bisogno di “invadere” un’altra cellula che, incolpevole , diventa “sua complice”. Una cosa  talmente piccola e invisibile che tuttavia ci sorprende e  ci spaventa e ci ricorda che, per quanto ci sentiamo giganti e megalomani  nel nostro delirio di onnipotenza, basta  un niente a ricondurci ai nostri limiti, a farci sopraffare  dall’angoscia che  ci procura l’incontro con l’incontrollabile, con  l’ imprevedibile imprevisto.

Adesso servono tutte le competenze, le intelligenze, le conoscenze per affrontare l’ospite non gradito e sconosciuto di cui chiunque di noi potrebbe essere inconsapevole albergatore.  E per fortuna , e per impegno e lavoro, ce ne sono e daranno i loro frutti. Ma intanto a  chi fa simpatiche battute sul chiudere nostalgicamente le frontiere del  “Regno delle due Sicilie” per tenere lontano “l’invasore”, ricordo che in quel nord nei confronti del quale vogliamo prenderci una stupida rivincita per tutte le volte che noi siamo stati chiamati “gli untori” , vivono moltissimi dei nostri figli, partiti con speranza e voglia di scoperta per studiare o lavorare, per usufruire di servizi e opportunità che qui da noi, in questa nostra bellissima e struggente terra, non ci sono , o almeno non ci sono per tutti, o che sono semplicemente in giro ad esercitare il proprio diritto di sentirsi cittadini del mondo.  E ricordo che i turisti, il cui arrivo abbiamo tanto agognato per dare una boccata di ossigeno alla nostra affaticata economia, vengono dal nord e da qualsiasi parte del mondo e potrebbero essere mezzi comodissimi su cui viaggia il temuto virus.

E, infine, a me stessa ricordo che nessuno di noi può dirsi esente da un fenomeno come questo:  che importa se la colonizzazione virale inizi al nord o al sud, in oriente o in occidente? Quello che conta è che facciamo tutti un bagno di umiltà e che riflettiamo sul nostro sistema  sociale , relazionale ed economico che è tanto presuntuoso, superbo e supponente, quanto vulnerabile. Peccato che il virus non  si debelli per contatto , per abbracci e vicinanza. Peccato che il vaccino non sia riconoscersi tutti appartenenti alla stessa umanità bisognosa di solidarietà e di reciproco sostegno! Chissà come sarebbe se per sconfiggere un qualsivoglia  invadente , dilagante e sconosciuto  virus ( o c’è già qualcosa di simile? Vagamente mi pare di riconoscerne dei sintomi...),  il governo potesse emanare delle norme di comportamento diverse, rivoluzionarie, del tipo :                                                                             abbracciatevi almeno una volta al giorno, fate visita al vostro vicino, dividete una volta a settimana il cibo con  la famiglia che abita al lato opposto della strada, qualunque sia la sua etnia o la sua religione, scambiatevi dei libri da leggere e poi raccontatevi le storie, organizzate i giochi per i bambini del quartiere e impastate acqua e farina per fare il pane da condividere… E invece no, ed è proprio un peccato che debba essere la distanza a salvarci, il cordone di isolamento,  la candeggina e le mascherine a proteggerci.

Tutto giusto, certamente. Tutte regole a cui dobbiamo attenerci con senso di responsabilità per la salvaguardia di noi e degli altri. Perché con queste cose non si scherza e tutti siamo chiamati a fare con coscienza la nostra parte, per limitare i danni e le conseguenze di tutto questo, che certamente non saranno indolori. Magari però, quando sarà passata l’emergenza ci accorgeremo , senza panico ma con senso di realtà, che fare incetta di provviste e candeggina come se non ci fosse un domani, è una reazione irrazionale, che si possono divulgare le informazioni con coscienza e non con titoli sensazionalistici che causano solo panico,  che i guariti sono molti di più dei morti anche se fanno meno notizia, che la ricerca e i ricercatori  hanno  bisogno continuamente di fondi e di risorse, che ci sono intelligenze e passioni che si spendono per il bene comune anche quando i riflettori si spengono, che ci sono paesi e popolazioni che vivono ogni giorno con epidemie che da noi non registriamo più da tempo e che potrebbero essere debellate se solo l'avaro occidente fosse più generoso, che non ci basta sentirci padroni del mondo per esserlo veramente,  che i muri incattiviscono le persone e che si può essere untori di paura e  ignoranza, non meno di quanto lo si possa essere di un virus, che mantenere buon senso e razionalità, nel tempo dei tuttologi da tastiera, è già un antidoto contro chi agita le paure  e le trasforma in angosce per trarne qualsiasi subdolo vantaggio.

Magari ci accorgeremo che non dovremmo aspettare l’emergenza per capire davvero cosa vale di più, per rifare le graduatorie delle cose veramente importanti, per esempio la libertà di movimento, di incontro, di contatto del cui valore ci accorgiamo solo quando noi ne veniamo privati, seppure per una giusta causa ( e pensate cosa significhi esserne privati per causa ingiusta!), per renderci conto che quello che con grande facilità auspichiamo per gli altri, per  “gli stranieri”, quando ci tocca da vicino , quando gli altri siamo noi, ci ferisce e ci sta stretto Magari, quando sarà passata questa bufera … avremo imparato qualcosa.

Nella speranza poi di non dimenticarcene. Maria Lisma

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