8 marzo, un ricordo della giornalista russa Anna Politkovskaja

Uccisa misteriosamente nel 2007, nei suoi scritti la severa condanna del regime di Putin. Profetiche le sue parole…

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
08 Marzo 2022 07:47
8 marzo, un ricordo della giornalista russa Anna Politkovskaja

Oggi si celebra la festa delle donne. E’ un 8 marzo molto triste quello di quest’anno e non solo per i dati sempre alti relativi alla violenza di genere. E’ ancor più triste perché questa importante ricorrenza cade a tredici giorni dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo; una guerra atroce nel cuore dell’Europa che sta provocando una gravissima crisi umanitaria, la morte di inermi civili, donne, bambini e perfino giovani militari mandati a morire dal dittatore post-sovietico Vladimir Putin la cui aspirazione imperialista ha determinato la morte della libertà di espressione nel suo Paese. E al presidente della Federazione Russa fu rivolta l’attenzione in maniera critica, di severa condanna fin dai primi anni del suo regime, da parte di una grande donna russa: la coraggiosa giornalista Anna Politkovskaja.

Anna Stepanovna Politkovskaja (nata a New York da due diplomatici sovietici, di origine ucraina, di stanza presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite) è stata assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006. Aveva 48 anni. Oggi pertanto la vogliamo ricordare citando alcune sue parole che risultano profetiche alla luce degli ultimissimi fatti di attualità, e che dimostrano l’indole guerrafondaia di Vladimir Putin.

La giornalista si batteva da anni per i diritti umani, in particolare quelli della minoranza cecena, e condannava nero su bianco la condotta politica criminale del presidente Putin. Nel giugno 1999 la Politkovskaja era entrata nella redazione della Novaja Gazeta e, in quello stesso periodo, iniziò a pubblicare alcuni libri fortemente critici sul Presidente della Federazione Russa in merito alla conduzione della seconda guerra cecena e dell’invasione del Daghestan e Inguscezia. Per il resto del mondo, oggi Anna Politkovskaja incarna il coraggio e l’indipendenza giornalistica, divenendo l’emblema universale della lotta per la libertà d’opinione.

Dopo la morte (la data del 7 ottobre non sembrava casuale: il giorno del compleanno di Vladimir Putin), molto misteriosa (uccisa nell'ascensore del suo palazzo, a Mosca) della giornalista scomoda all’entourage del capo del Cremlino, leggendo attraverso i giornali della sua attività giornalistica d’inchiesta, acquistai uno dei suoi ultimi libri: “La Russia di Putin” (Adelphi,2005); l’opera della Politkovskaja, che nel 2007 ricevette il Premio Letterario Internazionale Tiziano Terzani, svelava in tempi non sospetti il vero volto, come una sorta di matrioska, dell’ex agente del Kgb a Dresda al quale Boris Eltsin lasciò nel dicembre del 1999 la guida della madre Russia.

Per comprendere la figura ed il valore della stessa giornalista e scrittrice riportiamo quanto essa scriveva nel prologo intitolato: “Di che cosa parla questo libro?”:

Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati. A scanso di equivoci, spiego subito perchè tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin –figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del Kgb che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà.

E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione. Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo ciò che accada. Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all’Europa e all’America di oggi. Né vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati –ma pur sempre calzari di tenente colonnello –di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.

Questo libro, però, non è un’analisi della politica di Putin dal 2000 al 2004. Le analisi politiche le fanno i politologi. Io sono un essere umano fra i tanti, un volto nella folla di Mosca, della Cecenia, di San Pietroburgo o di qualunque altra città della Russia. Ragion per cui il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia. Perché per il momento non riesco a fare un passo indietro e a sezionare quanto raccolto, come è bene che sia se si vuole analizzare un fenomeno.

Io vivo la vita e scrivo ciò che vedo”.

Francesco Mezzapelle   

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