Vittima dell’algoritmo dell’insegnante, sul Corriere lettera di Angelita Russo

La lettera dell’insegnante mazarese, in Campania in attesa di cattedra, pubblicata nella rubrica di Beppe Severgnini

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
25 Settembre 2022 18:19
Vittima dell’algoritmo dell’insegnante, sul Corriere lettera di Angelita Russo

Lettera appassionata. Una che scrive così non ha solo il diritto, ma anche il dovere di fare l’insegnante. Forza Angelita, magari il vento - l'algoritmo? - gira”. Con queste parole il giornalista Beppe Severgnini ha commentato nella sua rubrica “Italians” del Corriere.it la lettera scritta da Angelita Russo. 45 anni, mazarese, dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università di Pisa, Angelita Russo ha fatto diverse esperienze in alcune importanti aziende all’estero, in giro per l’Europa (in copertina una sua foto in Olanda).

Alcuni anni fa è tornata in Italia e, dopo aver avviato un’impresa nel settore turistico, ha deciso di proiettarsi, considerata anche l’ottima conoscenza di ben quattro lingue (inglese, francese, spagnolo e portoghese), nel campo dell’insegnamento sostenendo diverse docenze, da Bergamo a Milano e nell’ultimo anno in Campania (ha insegnato inglese all’ICAM, carcere a custodia attenuata per detenute madri, di Avellino) ove attualmente risiede. Di recente si è pure abilitata all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori ma questo, purtroppo, nell'attuale sistema-scuola, non da il diritto ad una cattedra di ruolo: Angelita è infatti in attesa di assegnazione della supplenza, anch’essa, come molte insegnanti, mortificata da un “algoritmo” che ha mandato in tilt l’intero comparto scolastico italiano.

“Vittima dell’algoritmo dell’insegnante” si intitola così la sua lettera pubblicata ieri sull’edizione online del Corriere della Sera e nella quale emergono molte riflessioni e interrogativi sul sistema dell’istruzione e sulla valorizzazione delle risorse umane nel nostro Paese. Ecco quanto si legge nell’appassionata lettera di Angelita:

Caro BSEV, anche oggi mi sveglio presto come se dovessi andare al lavoro. Rimango a letto ancora un po’ ad ascoltare da dietro le finestre la città che si sveglia e si riversa sulle strade con i soliti rumori. Metto sul fuoco la caffettiera, il bollitore e il pane a tostare, e aspetto osservando cosa succede di sotto: il parco Kennedy brulica di studenti che raggiungono la filovia, di netturbini che rastrellano le prime foglie rosse, attorno ai bar si formano capannelli di gente come dopo la messa la domenica mattina.

Sembra che tutti abbiano qualcosa da fare, anche i cani che scodinzolano vigorosi mentre portano a spasso i padroni usciti di casa con i capelli arruffati dal sonno e appiattiti dai cuscini. Tutti, tranne me, e qualche migliaio di altre persone, vittime di un dio perverso che in questi giorni sta mettendo in ginocchio, ancora una volta, il comparto scuola: l’algoritmo per l’assegnazione delle supplenze. Come se decenni di riforme sbagliate e scelte disattente, o attente solo agli interessi di certe maggioranze politiche, non fossero già stati sufficienti a mortificare tutto l’umano che popola il mondo dell’Istruzione.

Quando qualche settimana fa ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori, il presidente della commissione mi ha chiesto perché fossi tornata in Italia e avessi scelto di diventare un’insegnante, invece di rimanere all’estero e godere di uno stipendio adeguato al mio lavoro e di una carriera internazionale. Ho riflettuto un attimo prima di rispondere ad una domanda che lì per lì mi sembrava banale tanto quando la risposta che ancora oggi mi sembra ovvia: un paese che non si definisce sulla base dell’istruzione della sua popolazione, che non prevede che questa sia, a qualunque costo, il principio fondante della propria identità e che non ambisce a formare esseri umani pensanti, illuminati e sollecitati dal pensiero critico, è un paese che non può prosperare.

Detto ciò, ho avuto anche l’ardire di ammettere che volevo fermare il brain drain. Ed eccomi qui, all’alba del 20 settembre 2022, ad aspettare che arrivi uno straccio di supplenza dalle graduatorie di istituto, dal momento che un sistema di calcolo perverso mi ha già scavalcata umiliandomi e dando la possibilità di lavorare a chi ha un punteggio inferiore al mio, solo perché non ho scelto una scuola a un’ora da casa e perché non mi andava di guadagnare uno stipendio che avrei speso quasi esclusivamente per pagare il carburante.

In queste ore leggo da tutte le parti che l’algoritmo non torna indietro, per i non addetti ai lavori significa che non ricalcola i punteggi più alti per assegnare i posti vacanti dopo ogni bollettino di nomina. Mi piacerebbe tanto fare due chiacchiere con l’algoritmo e spiegare anche a lui, come ho fatto con la collega presidente di cui sopra, che c’è chi invece indietro è tornato, cercando di fare il possibile per rimanere ancorata alla fierezza con cui quel giorno di sei anni fa ho lasciato un impiego sicuro all’estero per inseguire quella folle e sconsiderata idea di tornare a lavorare per il mio paese e fermare il brain drain.

Il pane è tostato, il bollitore fischia e il caffè è pronto. Forse oggi è il giorno giusto, forse qualcosa arriverà. Forse, o forse no. E se invece avesse ragione l’algoritmo? E se invece di tornare indietro fossi rimasta lì? E dire che con tutte le lingue che parlo, i titoli e l’esperienza accumulata, adesso magari sarei al parlamento europeo. Brain drain? Who cares!? Algoritmo docet”.

Francesco Mezzapelle 

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