“Una punta di Sal”, la burocrazia che uccide…

Il cancro della burocrazia che rende farraginoso ogni progetto e che si rivela letale soprattutto nella Sanità

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
31 Ottobre 2021 08:27
“Una punta di Sal”, la burocrazia che uccide…

C’è un cancro che circola da anni in Italia ed in Sicilia in particolare: la burocrazia. La burocrazia non sa di essere un cancro, non sa di essere una metastasi che tutto blocca e, quindi, tutto uccide. No, il pensiero burocratico è talmente concentrato su sé stesso che neanche si rende conto di quanto sia dannoso per una comunità umana. Dannoso perché lento, perché conservativo, perché rigido. E perché stupido.

Un esempio calzante? Il porto – canale di Mazara, di cui se ne parla da anni e che dal 2009, quando si è svolta la gara di appalto, non iniziano i lavori. Due imprese hanno già rifiutato, la terza deve venire a Mazara, si dice il 3 novembre, per prendere visione dei luoghi. Ritardi dovuti a passaggi di carte, i progetti cambiati, soldi che si assottiglino dall’importo di oltre 2 milioni di euro per dragare il porto. Altro esempio che riguarda sempre Mazara. Da 5 anni si discutedella piscina da realizzare nei pressi dei campi di tiro a volo.

Anche in questo caso progetti realizzati e finanziamenti da arrivare, sollecitazioni già fatte ma risultati concreti nulla. Per realizzare un ponte mobile sul fiume Arena di Mazara, il sindaco deve consultare ben 5 Enti diversi, compresa la Soprintendenza. Perché il cancro burocratico ha ormai le sue metastasi in tutto il corpo istituzionale e sociale. In questi giorni abbiamo potuto sentire reazioni di questo tenore: “l’opera non si può fare perché ci sono nel mezzo enti pubblici diversi”; “non si può fare perché è così da secoli”; “non si può fare perché i musei non servono ai turisti”; “perché nel Cinquecento, nel Seicento, nel Settecento…”; “non si può fare perché bisogna salvaguardare quel che è stato”; “non si può fare perché la cultura non deve pensare all’economia”; “non si può fare perché piccolo è bello”; “perché il rispetto della storia…”; “perché si è sempre fatto così…”: “perché la prassi, i protocolli…”.Insomma un crogiolo reazionario che vuole tutto fermo, tutto immobile, tutto morto.

Il cancro che uccide l’Italia è qui, in questo atteggiamento talebano che rifiuta ogni prospettiva futura, ogni contaminazione culturale, ogni costruzione di nuova storia, di nuove storie.

Si parla tanto a Mazara di un museo della pesca. Anni fa si era pensato e si era iniziato a raccogliere qualche pezzo di storia della marineria, poi tutto si è fermato. Un museo, un nuovo museo, cos’altro è se non una cattedrale laica, uno strumento per lasciare un segno nella storia, per rendere viva una civiltà? Nel Belice si attendono ancora i soldi per terminare la ricostruzione dopo il terremoto del ’68! Ecco, il cancro burocratico è tutto in questo rifiuto di nuove storie, di nuove possibilità e, quindi, di nuove opportunità. A ben vedere, è lo stesso brodo culturale che dice no alla costruzione di nuovi stadi, nuovi ponti, nuove strade, nuove ferrovie… che dice no, in definitiva, all’idea che la storia non sia finita qui, in un eterno presente senza futuro.

In tempi di piena emergenza sanitaria, spicca in tutta la sua evidenza quanto la situazione sia ormai allo sbando. In Sicilia forse più che altrove: liste d’attesa lunghissime e visite rinviate per centinaia di persone, costrette poi a ricorrere a proprie spese al privato; le operazioni di routine annullate a data da destinarsi. E’ una disperazione. In Sicilia non si muore soltanto di Covid, e non si muore esclusivamente di infezioni ospedaliere. Si muore di indifferenza e si muore anche di burocrazia.

Perché non si può neanche immaginare il calvario che il malato è costretto ad affrontare per ricevere quei presidi medici e quelle prestazioni sanitarie che possono salvargli la vita e che, almeno sulla carta, dovrebbero tempestivamente essere garantite. Perché è assurda la difficoltà che si riscontra anche solo per contattare l’ASP. ll malato, allora, muore due, tre, quattro, cinque volte: muore dentro e si rassegna, e si rassegnano tutti quei familiari che nel frattempo sono costretti a pagar di tasca propria.

E in fondo non è neppure un problema guardare al proprio portafogli quando si vuol salvare la vita ad un proprio caro. Ma chi non può permetterselo? Lo si lascia morire? Come è possibile tollerare tutto questo in un paese civile, dove il diritto alla salute è tanto decantato dalla Costituzione? Per non parlare delle interminabili liste d’attesa per prenotare Risonanza Magnetica e TAC, nonché precise visite specialistiche. Ci si chieda allora che senso ha concentrare tutte le attenzioni sulla situazione pandemica (che certamente è preoccupante), se poi tali atti di inadempienza sono all’ordine del giorno? Che senso ha parlare di sanità pubblica se poi un qualunque paziente è costretto a ripiegare su un privato, per poter effettuare una visita? Perché è di questo che si tratta: chiunque ricorra, costretto dal bisogno, al sistema sanitario, non lo fa certamente per capriccio ma per necessità.

E’ un paziente, non un cliente. Si rifletta, allora, prima di affermare che la sanità pubblica è ridotta all’osso a vantaggio dei privati.

La soluzione dovrebbe essere una grande riforma della Pubblica amministrazione che elimini la presenza eccessiva della burocrazia dall'attività legislativa, che dovrebbe cadere sotto la fiscalità generale, e dalla vita del cittadino. Trecento anni fa, l'uomo si è liberato dal dispotismo del monarca assoluto, che decideva a propria discrezione della vita dei propri sudditi. Sulla base del principio democratico, la sovranità è passata dal monarca al popolo. Ma il risultato è stato lo stesso: in nome del popolo sovrano, il rapporto tra cittadino e potere politico si è trasformato, il cittadino è ritornato suddito come era sotto il sovrano assoluto; la fiscalità è lo strumento con il quale il potere politico esercita il proprio dispotismo. In definitiva, solo una grande riforma della Pubblica amministrazione può liberare il cittadino dalla dittatura della burocrazia, che tiene sotto il proprio controllo anche la politica.

Salvatore Giacalone

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