“Una punta di Sal”. Il sindaco, un uomo solo al comando

L’elezione diretta e la crisi dei partiti hanno ridotto la capacità di mediazione del primo cittadino

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
09 Ottobre 2022 10:24
“Una punta di Sal”. Il sindaco, un uomo solo al comando

Capita, soprattutto in periodi elettorali, di udire o leggere la frase “un uomo solo al comando”, quando si paventa il pericolo che un temuto avversario vinca le elezioni imminenti: una frase dall’effetto denigratorio, che allude ai misfatti certi o probabili di cui quel dato personaggio politico, una volta in carica, sarebbe artefice.Questo timore viene richiamato sia a livello nazionale, sia a livello locale. Premetto che formulo queste considerazioni indipendentemente dal colore politico del sindaco in carica e di quello che vincerà le prossime elezioni comunali.

Lo slogan “uomo solo al comando” è rivendicato sia come accusa al sindaco in carica, sia come condizione da evitare : “non sarò un uomo solo al comando!” ha proclamato un candidato, “farò un gioco di squadra!”; in questo caso prendiamo l’affermazione per una buona intenzione, ma che il gioco di squadra poi sia reale o rimanga uno slogan, sarà solo il sindaco che comparirà come titolare della politica urbana. Si presume che l’espressione venga usata in modo figurativo, in quanto l’uomo solo al comando non esiste nei fatti.

Ma anche se usata in modo figurativo, è fuorviante come raffigurazione della carica di sindaco; tende però ad avere un valore simbolico, in negativo, oltre che possedere una impronta demagogica.

Dallo slogan, si passa talvolta a criticare o svalutare la legge sull’elezione del sindaco, la n.81 del 25/3/1993, con cui venne introdotta l’elezione diretta e la nomina dei componenti della giunta da parte del sindaco eletto, mentre in precedenza sia il sindaco sia la giunta erano eletti dal consiglio comunale. La legge sull’elezione diretta del sindaco fu preceduta da una corale e corposa elaborazione di meccanismi elettorali, espressi dai vari partiti. Era una esigenza collettivamente sentita: l’obiettivo primario era la stabilità, la durata certa (o quasi, tranne che nei casi di grave sfiducia) della consiliatura e degli organi di amministrazione comunale per i cinque anni previsti.

Questa legge rendeva più facile per l’elettorato l’imputazione di responsabilità: eliminando le frequenti crisi di giunta, era più agevole individuare l’iniziatore di una politica urbana, condivisa o meno.Qualcuno rimpiange il ruolo dei consiglieri comunali, visti, come un tempo, come punti di riferimento per l’accoglimento di istanze espresse da cittadini o gruppi di interessi.L’ipotesi che, se non fosse stato depotenziato dalla riforma, il consiglio sarebbe tuttora il portavoce efficiente delle istanze dei cittadini è però discutibile, in quanto si vorrebbe tornare ad un sistema consiliare ove sarebbe assente la strutturazione dei partiti che, a dire il vero, hanno perduto – in gran parte – la loro visione ideologica e programmatica, anche se continuano a controllare i seggi in consiglio comunale.Un tempo, il partito fungeva da principale riferimento per le esigenze dei vari gruppi o comitati di cittadini.

Oggigiorno i partiti e le formazioni politiche sono meno attrezzate a fungere da filtro nei confronti di queste associazioni. I portatori di interessi, rispetto a trenta anni fa, sono in misura maggiore esterni ai partiti e al consiglio comunale; ed è illusorio tornare ad una situazione in cui il partito si faceva interprete e fagocitava questi interessi. Oggi proliferano i comitati, che talvolta si trasformano in liste elettorali e si candidano alle elezioni: il loro programma è spesso centrato su obiettivi settoriali, con una immagine ideologica spesso fumosa, basata su slogan adatti ad esprimere rivendicazioni, più che ad esprimere un programma amministrativo; e sono talvolta espressione di un marcato protagonismo.

Rigettando il semplicistico e fuorviante slogan “un uomo solo al comando”, è importante tuttavia lo “stile” politico di un sindaco. Per questo al candidato da eleggere si richiedono risorse personali, disponibilità e capacità; una volta eletto, gli si chiede di essere sindaco di tutti i cittadini, da dimostrare con i fatti.Ci sono sindaci che non solo per il loro programma politico, ma anche per il loro stile di comando sono riusciti a costruire un rapporto fiduciario con gran parte dei cittadini, a godere di un consenso trasversale.Dall’altra parte, si chiede ai cittadini di considerare un sindaco come un amministratore politico legittimato dal voto popolare, anche nel caso in cui il livello di astensione dal voto abbia favorito l’elezione di un candidato che non gode dell’appoggio di larga parte della cittadinanza.

Anche l’astensione fa parte del responso elettorale: se è considerevole, significa che l’offerta politica è sofferente. Riguardo allo stile politico, il sindaco dovrebbe avere la volontà e la capacità di dialogare con le organizzazioni portatrici di interessi, che siano comitati di cittadini o lobby, tutti legittimi. E’ uno snodo fondamentale che un sindaco si trova ad affrontare, quello della mediazione. Il buon funzionamento dell’apparato di mediazione – inteso come comprensivo di formazioni politiche, associazioni economiche e professionali, gruppi di interesse – riduce il rischio che il governo locale non sia in grado di recepire le istanze della cittadinanza e di attuare le risposte volte alla loro soddisfazione.

Ma alla fine: il sindaco può essere veramente un uomo solo o è solo perché abbandonato dai suoi compagni di viaggio? Succede, e spesso.

Salvatore Giacalone

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