Ultime della sera: “Sono forse io…?”

Riflessione sul vedere e il non vedere.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Maggio 2021 19:25
Ultime della sera: “Sono forse io…?”

C’è un gesto che i bambini compiono, quando non vogliono vedere qualcosa: si coprono gli occhi con le mani o con le braccia, oppure chinano in giù la testa o cercano un nascondiglio. Se ci sono cose che fanno paura o sono spiacevoli o danno fastidio, i bambini, semplicemente, chiudono gli occhi. E quelli molto piccoli, adottano lo stesso sistema, quando vogliono nascondersi: chiudono gli occhi e, per il solo fatto di non vedere, ritengono di non essere visti e così, volendo giocare a nascondino, cercano una copertura soltanto per la testa, lasciando scoperto tutto il resto del corpo: sono convinti che nessuno li potrà trovare.

E gli adulti? Il trucco di tapparsi gli occhi o di guardare altrove, lo conoscono bene anche loro. C’è qualcosa che scuote troppo la coscienza o che rischia di turbare le giornate, o che suscita orrore o inchioda alle responsabilità? Beh, basta chiudere gli occhi o guardare altrove. Alcuni adulti poi, talvolta, assai ingenuamente, come i bambini piccoli, ritengono che sia sufficiente nascondere solo gli occhi per non essere visti, ma questa è un’altra storia.

E così, è molto più facile sostenere con sicumera di avere visto il fallo da rigore che l’arbitro non ha fischiato, che dire che l’abbiamo vista quella bambina morta, partita da chissà dove, portata dal mare pietoso a riposare sulla spiaggia, prima che diventasse cibo per i pesci (ha più pietà il mare che gli uomini!); è molto più semplice testimoniare che quel cantante ha sniffato cocaina, piuttosto che mantenere lo sguardo sulle bambine della scuola di Kabul dilaniate da una bomba (è così lontana Kabul!); è più intrigante affermare che la vicina del terzo piano ha un amante, piuttosto che aver visto i lividi sul volto di quella del secondo (ma che mi interessa delle cose nelle case degli altri!); è più intrigante osservare dalle persiane socchiuse chi entra ed esce dalla casa di fronte, piuttosto che dire: io l’ho vista quella bambina, e non posso averla vista solo io, la stavano portando via (ma chissà che cosa hanno tra loro, meglio farsi gli affari propri!)…

Vedere, tenere gli occhi aperti, significa poi essere testimoni, ed essere testimoni, significa farsi responsabili.

C’è una differenza sostanziale fra chiudere gli occhi per l’amarezza, la stanchezza, la tristezza e farlo per vigliaccheria.

E a che serve poi avere gli occhi aperti, se chiuso è il cuore e incrociate sono le braccia?

Voglio farvi sapere di un atto di coraggio, non ce ne sono molti, ma ci sono. Questo è l’ultimo di cui mi è stato fatto dono:

C’è una ragazza di fronte a me, ha gli occhi del cielo e i capelli dell’aurora. Indossa i suoi 15 anni come ali di farfalla. Ci ha pensato un po’: non è facile. Sa a cosa andrà incontro, gliel’ho detto: dovrà ripetere ad altri, quello che sta per narrare a me, le faranno delle domande e quando si saprà quello che sta facendo, è possibile che subisca ricatti. Ma lei alza la testa, mi scruta giusto il tempo di capire se può fidarsi di me e poi, “sono pronta” mi dice e inizia il racconto di una favola triste: “c’era una volta una bambina, c’è ancora, e c’è un uomo, pure lui c’è ancora, e la sua mamma non le ha detto di stare attenta al lupo cattivo, anzi gliel’ha affidata e lui le ha fatto male. E io lo so, lei me lo ha detto, lei mi ha detto guarda. E io ho visto. E anche se poi ho chiuso gli occhi, non sono più riuscita a dormire.”

Ora proveremo insieme a scrivere insieme un lieto fine per questa favola triste. E io la ringrazio, perché ancora una volta ho imparato che la disperazione è un peccato, che la sfiducia, il qualunquismo (“tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”), e “i giovani di oggi? Una generazione perduta”…sono solo modi per disimpegnarci, per non guardare, per voltare lo sguardo da un’altra parte.

Se tutti provassimo a farci prossimo degli altri, nessuno resterebbe “invisibile”, nessuno sarebbe ignorato, non visto, nella sua richiesta d’aiuto, nella rivendicazione dei propri diritti, nella affermazione della propria dignità.

Così Dio chiese a Caino “dov’è tuo fratello?” e Caino, le cui mani ancora grondavano del sangue di Abele, rispose “ Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”

Eppure è questo che dovremmo essere : custodi degli altri, di quelli vicini e di quelli lontani, perché anche gli altri siano custodi di noi e di chi amiamo.

Rendo grazie per gli occhi che vedono, che si incantano davanti alla bellezza e che non fuggono davanti all’orrore, per le mani che accarezzano e curano, per le labbra che cantano e denunciano. Rendo grazie per chi in ogni comunità, anche nella nostra città, si fa custode della civiltà, della natura, dell’arte, della bellezza e, soprattutto, delle persone.

Ad occhi aperti e a braccia spalancate.

di Maria LISMA

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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