Ultime della sera: “Quanto valgono duecentocinquant’anni di schiavitù?”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
26 Febbraio 2021 19:05
Ultime della sera: “Quanto valgono duecentocinquant’anni di schiavitù?”

di Francesca RUSSO "Un conto ancora aperto" è il titolo di un breve ma considerevole saggio in cui il giornalista Ta-Nehisi Coates espone in modo rigorosamente documentato come ai neri americani sia stato negato ogni diritto persino quello a una casa dignitosa. Una questione pochissimo conosciuta ma meritevole di maggiore attenzione perché in grado di illuminare su come si possano perpetrare abusi gravissimi in un regime democratico e in piena legalità. Il libro si apre con la testimonianza di Clyde Ross, un afroamericano che dal Mississippi si trasferisce nell'area di Chicago nel 1947, durante la Grande Migrazione, alla ricerca di un ambiente più favorevole rispetto al profondo Sud dominato dal razzismo feroce e sanguinario del Ku Klux Klan.

Giunto alla meta, Clyde viene abbordato e circuito da uno speculatore che gli vende la casa non con un normale mutuo ipotecario, bensì con una formula detta <<a contratto>>, una modalità vessatoria che abbina le responsabilità del possesso di un immobile con gli svantaggi dell'affitto, perché il venditore mantiene la proprietà fino alla completa estinzione del debito e, a differenza di un mutuo ordinario, chi compra non acquisisce alcuna quota di proprietà. Di conseguenza, basta una spesa imprevista, come un guasto piuttosto oneroso, ad impedire il pagamento puntuale di una rata e quindi essere sfrattati ritrovandosi sul lastrico.

Dopo di ciò la medesima abitazione può essere immessa nuovamente sul mercato per riproporne la vendita a un'altra famiglia alla stessa ignobile maniera, senza infrangere la legge. Vicende del genere erano molto comuni e non erano frutto della malsana inventiva di qualche truffatore, dietro c'era un disegno ben preciso, accettato e condiviso dalla classe dirigente e dalla maggioranza dell'opinione pubblica: impedire agli afroamericani di possedere una casa nei quartieri abitati dai bianchi e impoverirli in modo da emarginarli negli slums.

In altre parole, una segregazione compiuta senza sporcarsi le mani, senza commettere reato e soprattutto meno soggetta a creare riprovazione e dissenso come i linciaggi e le impiccagioni del KKK. La stessa struttura urbanistica di città come Chicago non è casuale ma è il risultato di un'accurata pianificazione studiata per tenere ai margini gli afroamericani, considerati indesiderabili. Nonostante l'impatto di tale politica discriminatoria sia stato tale da far sentire ancora le conseguenze, c'è una riluttanza generale ad ammettere l'idea che potrebbe esserci un rimborso dovuto alla comunità afroamericana invece delle semplici scuse.

A dimostrazione di questo atteggiamento, basta ricordare che il Congresso non ha nemmeno approvato un disegno di legge per istituire un comitato che valuti la fattibilità delle riparazioni. Coats nel suo libro non si limita a dare voce e memoria a ingiustizie di un recente passato ma sostiene con forza che la prosperità degli Stati Uniti sia indissolubilmente legata alla loro storia di schiavitù e razzismo; gli schiavi, concepiti come veri e propri "beni", erano la più vasta risorsa e hanno contribuito a fondare l'economia americana.

L'autore vuole smontare il luogo comune secondo cui gli afroamericani hanno fallito nel loro tentativo di affrancarsi dalla miseria e che quindi siano gli unici responsabili della loro condizione. In realtà il loro sfruttamento e la loro emarginazione non si sono conclusi con l'abolizione della schiavitù, la società americana ha fatto ben poco per eliminare o minimizzare ostilità e vessazioni. Alle eventuali accuse facili e banali di radicalismo antiamericano si possono contrapporre le parole pronunciate dal presidente Jefferson durante il suo discorso sui diritti civili: <<la povertà dei negri non è la povertà dei bianchi, molte delle sue cause e delle sue cure coincidono, ma esistono differenze, differenze profonde, corrosive, tenaci, che propagano radici dolorose nella comunità e nella famiglia.

Queste differenze non sono differenze razziali, sono esclusivamente e semplicemente il frutto di una brutalità antica, di un'ingiustizia passata e di un'ingiustizia presente>>. Un'ingiustizia presente al tempo di Jefferson e che ancora pesa sulla democrazia americana.   La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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