Ultime della sera. La settimana che ha cambiato la nostra vita

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
14 Marzo 2020 18:46
Ultime della sera. La settimana che ha cambiato la nostra vita

E' il quinto giorno di isolamento forzato e devo andare a fare la spesa. Manca tutto a casa, mi tocca uscire dalla quarantena, vincere questa paura di incontrare la gente. L'incontro con l'altro, chiunque egli sia, è percepito come una minaccia, come un potenziale pericolo. Le leggi dell'affettività, della socialità, in questa settimana sono state totalmente stravolte. La nostra vita è cambiata cosi all'improvviso da mettere a repentaglio la nostra tenuta psichica. Abbiamo paura. Ciascuno di noi ha in famiglia qualcuno che lavora nella sanità, o che lavora col pubblico, o genitori e familiari fragili, o anziani, o malati.

Davanti al supermercato trovo le persone  in fila ordinata, in attesa di entrare. Ogni cinque che escono ne entrano altri cinque. Abbiamo imparato a misurare lo spazio, a ridistribuirci nello spazio. Un metro, almeno. Chi lo sapeva prima, quanto era lungo un metro in maniera cosi precisa?Attendono tutti, con pazienza, il proprio turno. Il tempo ormai è diventato un concetto relativo, si è dilatato a dismisura. Abbiamo il tempo per fare cose che fino ad una settimana fa credevamo impensabili, come stare giudiziosamente ad aspettare immobili per entrare in un supermercato vuoto.

Me ne ricorderò, quando ritornerò a correre. Quando la vita mi imporrà di nuovo i suoi ritmi frenetici, e mi chiederà di non fermarmi mai. Sarà allora che ripenserò a questa mezz'ora di attesa davanti ad un supermercato vuoto. Perchè la prima cosa che questo virus ci ha insegnato è che possiamo fermarci, se serve. E che non sempre il tempo si può riempire di azioni utili, produttive,  gratificanti. Questo è il tempo dell'attesa e del silenzio, il tempo per respirare lentamente, intervallato da qualche secondo di apnea.

L'apnea di quando per l'ansia ti manca l'aria. Quasi tutti, fuori, indossano guanti e mascherine. Le strade sono deserte, la città dorme. Ad interrompere il silenzio la macchina della Protezione civile con la voce che dall'altoparlante invita a non uscire di casa. Deglutisco, mi impongo di respirare con calma, di non farmi prendere dallo sconforto, ma ho i crampi allo stomaco. Mi sembra di essere finita dentro un film, quelli che ci facevano tanta paura ma poi ne ridevamo perchè tanto era solo un film e quelle catastrofi nel nostro mondo non sarebbero mai potute accadere.

Quando ero piccola alla Rai davano uno sceneggiato, si intitolava “I sopravvissuti”: c'erano queste persone – i sopravvissuti -  che vagavano in un'atmosfera da fine del mondo dopo un'epidemia causata da un virus cinese, e ogni tanto incontravano altri gruppi anch'essi sopravvissuti e e insieme provavano a ricostruire nuclei di società. La sensazione angosciante di quelle immagini me la sono sempre portata dietro, ma, crescendo, unitamente alla consapevolezza che nel nostro mondo moderno, civilizzato e iperscientifico niente di simile potesse accadere.

Adesso ho imparato a non dare più nulla di scontato, mai e per nessun motivo. La frase “non potrà mai accadere” l'ho rimossa dal mio linguaggio abituale. Ora  ho imparato anche ad osservare, ne ho il tempo. Certo, il perimetro è limitato e l'orizzonte ristretto, ma lo faccio. E mi commuovo. Mi commuove tutto di quello che osservo. E' questo un periodo che mette a nudo le nostre fragilità, che slatentizza emozioni, stati d'animo, sentimenti. Mi commuovono i figli che salutano i genitori  sotto la finestra, dopo aver lasciato loro la spesa davanti la porta.

I nonni che imparano ad usare lo smartphone per poter vedere i nipotini. Dalla mia finestra vedo un uomo che ogni giorno, alla stessa ora, sale sul terrazzo e telefona. Parla, ride, a volte fa delle videochiamate. Sono complicati gli amori ai tempi del coronavirus, soprattuto quelli clandestini. Uscita dal supermercato faccio il giro largo per andare a guardare il mare. Al lungomare c'è chi corre, chi porta a spasso il cane, chi passeggia. Non tantissimi, distanti tra loro. La maggior parte sono soli, nessuno si avvicina agli altri, se ci si riconosce ci si saluta da lontano.

Penso che non è vero che siamo irredimibili, che invece sappiamo orientare i nostri comportamenti, che abbiamo imparato a prendere le misure. E' l'ora del tramonto, il mare e' una tavola blu, il cielo limpido e una leggero venticello  primaverile aleggia nel'aria. C'è quella luce calda che avvolge il cielo e il mare e che solo a queste latidudini al tramonto vediamo. Il silenzio e la quiete rendono l'atmosfera magica e irreale. La natura è ancora li, incontaminata. La bellezza fa mostra di sé con sfacciataggine, quasi come uno schiaffo.

La primavera sta tornando: la vita- quella - non muore. Quà e là qualche auto posteggiata con coppie di anziani coniugi all'interno. Guardano il mare, il sole al tramonto, i finestrini chiusi, senza uscire dall'auto. Mi sono fermata, ho preso la testa tra le mani e ho pianto. Non meritavamo questo dolore, questa paura. Queste persone soprattutto, cosi anziane, cosi fragili, cosi sole, non meritavano di vivere questa vita sospesa, questa incertezza, nell'ultimo tratto della loro strada.

E questa primavera che non aspetta e che ci ricorda a tutti noi che niente è scontato, niente è per sempre, e che alla fine vince sempre lei, mi muove rabbia ma anche speranza. Andrà tutto bene, deve andare tutto bene!   Catia Catania

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