Spesso Mazara del Vallo viene considerata geograficamente come l’ultima città d’Italia all’estremo sud.
Dopo solo l’orizzonte, il mare, l’acqua.
L’acqua del mare è per Mazara del Vallo una sorta di liquido amniotico nella quale è immersa. L’acqua del mare è ciò che divide e unisce, ciò che stabilisce un altrove, un al di qua e un aldilà. Da una sponda all’altra del Mediterraneo. Così come a Mazara si va da una sponda all’altra del fiume.
Il mare dà meravigliosi pesci; il mare prende, spesso le vite di molti giovani in cerca di un’esistenza migliore.
Ma le storie non sono fatte per rimane taciute, le storie vanno raccontate, soprattutto le storie che parlano di sofferenza.
Ricordo che quando ero piccola chiedevo sempre a mia madre: ma cosa c’è dopo il mare? E lei mi rispondeva: l’Africa! Ma in realtà a Mazara l’Africa è sempre stata dentro la città con i tunisini che sono arrivati alla fine degli anni ’70, ma ancora prima con gli arabi.
La storia narrata con grande maestria da Catia Catania e Peppe Ciulla, ci parla della vicenda dei 18 pescatori di Mazara del Vallo, rimasti prigionieri delle milizie della Libia Cirenaica per circa 108 giorni tra il primo settembre e il 17 dicembre 2020.
Quella del dominio di pesca in acque internazionali e della rivalità con tunisini e libici, è una vecchia storia. In passato però i pescherecci mazaresi venivano sequestrati dai tunisini, e i pescatori rimanevano nei porti. Spesso anche rilasciati dopo qualche giorno di trattativa.
Qui invece siamo di fronte ad una vera e propria prigionia con accuse false, soprusi e continue violazioni di diritti umani. In questi 108 giorni i pescatori mazaresi hanno subito sparatorie, torture, violenze, minacce, deprivazioni sensoriali; hanno sofferto la fame, il freddo. Sono stati tenuti nella sporcizia e in condizioni disumane. Chi stava male non veniva curato a dovere.
Ciò che li salvati, è stato il loro continuo sostegno reciproco, la forza del gruppo, la fiducia nel fatto che avrebbero rivisto le proprie famiglie. Ma soprattutto c’è stata la forza del capitano Pietro che ha tenuto duro anche nei momenti più drammatici.
I pescatori di Mazara del Vallo da sempre sono pescatori di pesci ma anche di uomini in fuga. Spesso hanno salvato e soccorso migranti su imbarcazioni alla deriva perché è la legge del mare che lo impone.
Nel canale di Sicilia, però, sono le milizie libiche che hanno imposto le loro leggi! Ed è proprio questo che si richiede a gran voce: il rispetto del confine europeo su questo tratto di mare, che spesso sembra essere di tutti e di nessuno.
Ogni pescatore, quando parte, sa che a casa c’è qualcuno che lo aspetta!
Questo pensiero rende più lievi le giornate dei periodi di pesca.
In questa vicenda le persone rimaste a casa hanno fatto ben più che attendere al molo.
Hanno alzato le loro voci fino a farsi sentire, in modo che la situazione si potesse risolvere in modo pacifico.
Questo libro è anche un libro su Mazara perché narra anche di altri personaggi che hanno fatto la storia di Mazara, come Giovanni Tumbiolo o Salvino Catania che il destino ha voluto prendersi prematuramente; così come narra di tradizioni legate a questa piccola città sul mare.
La cala è una storia che bisognava raccontare perché come tante altre storie della nostra amata Sicilia rischiava di essere dimenticata dalla memoria collettiva. Il valore di questo libro è soprattutto umano e civile.
Aver messo nero su bianco questa vicenda ha restituito, in parte, dignità all’anima di questo luogo e di questi pescatori, che ancora oggi stanno curando le ferite lasciate da questa triste storia.
Acquistate e leggete il libro “La cala”, non solo perché i proventi andranno alle famiglie dei pescatori, ma soprattutto perché fa bene al cuore.
di Saveria ALBANESE
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com