Ultime della sera: “Il Giorno della Chioccia”

Nei primi anni 60 scoppiano i casi letterari dei romanzi sulla mafia e la 1° guerra di mafia.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Giugno 2021 18:30
Ultime della sera: “Il Giorno della Chioccia”

Palermo, piazza Principe di Camporeale, giorno di Santo Stefano del 1962. Mancano pochi minuti alle 19,00. Da una Giulietta splendente color crema, equipaggiata con ogni tipo di accessorio, scende un uomo abbastanza giovane. Ha i baffetti a matita, indossa i guanti e un cappotto cammello molto chiaro dal cui bavero spunta una camicia di seta color viola. Si avvia verso il chiosco della tabaccheria. È “Doruccio”, alias Calcedonio Di Pisa. Nonostante il suo aspetto da damerino è in realtà un rozzo contrabbandiere di sigarette e droga, un boss emergente che da qualche tempo si è trasformato in costruttore edile.

Improvvisamente si sentono esplodere colpi di arma da fuoco. Doruccio, 31 anni compiuti da qualche mese, conclude la sua parabola di boss e di uomo, muore in un bagno di sangue.

Inizia così la prima guerra di mafia.

I mesi immediatamente precedenti avevano visto l’ampio successo di critica e di pubblico de “Il Giorno della Civetta” di Sciascia. Uscito l’anno precedente (1961) è la prima opera letteraria in cui viene esplicitamente affrontato il tema della mafia, ed è universalmente riconosciuto come il più significativo romanzo in materia.

La coincidenza temporale dei due eventi è stupefacente.

Mafia e letteratura si intrecciano. Non solo la mafia produce letteratura (la trama de “Il Giorno della Civetta” trae ispirazione dall'uccisione da parte della mafia del sindacalista Accursio Miraglia, avvenuta a Sciacca nel gennaio del 1947) ma anche, viceversa, la letteratura di mafia, finisce per influenzare gli atteggiamenti della gente comune e forse anche degli “uomini d’onore”. Malgrado il gesto di denuncia insito nelle buone intenzioni degli autori, la letteratura sulla mafia offre al lettore siciliano un esempio possibile da seguire. Forse l'unico, dato il fallimento degli altri protagonisti (fallimento sempre presente nei romanzi del Verismo, del Naturalismo e del Realismo).

I mafiosi, in quanto autori di gesta criminali, assurgono così a protagonisti. Il riverbero letterario ne attesta in qualche modo il successo. Ringalluzziti eccedono nella loro audacia. Vivono la loro vita con spavalderia come protagonisti di un film. Non è da escludere quindi come conseguenza quella di combinare una guerra di mafia.

Sciascia non può rendersi conto (anche se tutta la sua carriera è disseminata da questa sua incomprensione, fino all’articolo sui professionisti dell’antimafia) che “usando l’evidenza sociale negativa per richiamare l’attenzione del pubblico, lo si può indirizzare inavvertitamente verso l’elemento dominante [la mafia pervasiva] piuttosto che sull’indesiderabilità di un certo comportamento”.

L’errore di comunicazione è tanto più dirompente in quanto c’è anche la fascinazione letteraria nei confronti del boss mafioso Don Mariano Arena, che è persino elogiato dal capitano Bellodi, protagonista del romanzo. Nonostante le azioni criminali del mafioso, il capitano lo classifica nella prima classe, quella degli “uomini”, secondo la gerarchia creata dallo stesso capomafia che distingueva l’umanità in uomini, mezzuomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà.

Il successo del romanzo ha indotto altri autori a seguire l’esempio di Sciascia. La civetta ha covato bene le sue uova, è diventata una chioccia dalle uova d’oro. L’intreccio tra mafia e letteratura continuerà ancora per altri decenni.

La strada tracciata da Sciascia era forse inevitabile, tuttavia l’autore di Racalmuto inconsapevolmente commette errori di comunicazione. Sotto questo profilo è più efficace Peppino Impastato che senza tanta “letteratura” definisce la mafia “una montagna di merda”.

di Domenico RIPA

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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