Il 5 maggio 1821 morì in esilio, nell’isola di Sant’Elena, Napoleone Bonaparte.
La notizia si diffuse due mesi dopo, nell’indifferenza di un Europa trasformata dal Congresso di Vienna, completamente diversa da come egli l’aveva lasciata nel 1815.
Ormai Napoleone non era più protagonista delle conversazioni nei salotti delle capitali europee. L’interesse nei suoi confronti si risvegliò solo due anni dopo, con la diffusione del Memoriale di Sant’Elena che l’esule aveva dettato al suo fedele valletto Louis Marchand. Furono anni molto duri per Napoleone, confortato solo dal ricordo dei suoi cari e dall’affetto del piccolo Napoleone II di cui conservò fino alla fine una lettera contenente le seguenti parole: “Padre, vi amo e vi stimo con tutto il mio cuore”.
Per sei anni Napoleone visse nel clima umido e malsano dell’isola, in un’abitazione infestata da zanzare e topi. Sorvegliato costantemente dagli inglesi. Ammalatosi, fu curato da un dottore irlandese che in seguito fu costretto dal governatore Lowe a lasciare l’isola perché diventato troppo amico del prigioniero. Ben presto le sue condizioni peggiorarono fino a quando, nel pomeriggio del 3 maggio, gli fu somministrata l’estrema unzione. “La France, l’armèe, tete d’armèe, Josephine” mormorò in delirio , prima di chiudere gli occhi per sempre.
Concluse così la sua vita l’uomo che aveva cambiato il volto del continente europeo.
Ma cosa accadde dentro di sé negli anni dell’esilio? Alessandro Manzoni, commosso alla notizia della morte dell’Imperatore, diede la sua risposta nei versi famosi dell’ode da lui composta tra il 16 al 18 luglio del 1821.
L’ode fu stampata nel 1823 e ci è giunta per intero grazie alle copie che Manzoni conservò oltre a quella censurata dal governo austriaco.
La poesia non è una celebrazione della figura dell’imperatore, ma una riflessione sulla condizione umana e sul mistero della morte nei confronti della quale ci si ritrova soli.
A cosa possono valere la vittorie e i successi della vita? Forse sono più importanti le sconfitte perché permettono di ritrovare se stessi e il senso autentico dell’esistenza.
Sicuramente sarà stato doloroso per il grande condottiero ricordare nella solitudine dell’isola le glorie passate e magari avrà sperato in un aiuto, in una liberazione che non è mai arrivata.
Nell’isola di Sant’Elena Napoleone è solo un uomo che deve fare i conti con la sua vita.
Sembra che al Manzoni sia giunta inoltre la notizia di una conversione di quell’uomo potente, ormai sconfitto e solo, nel Dio che non abbandona. Da qui i versi seguenti:
“Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar”
…E sparve, e dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor”.
di Josepha BILLARDELLO
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