Quattro anni fa il lungo sequestro di 18 pescatori della marineria mazarese in Libia

Altra ferita indelebile per la Città. Il ricordo del momento del sequestro nelle prime pagine del libro "Mazara Rapita"

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
03 Settembre 2024 11:34
Quattro anni fa il lungo sequestro di 18 pescatori della marineria mazarese in Libia

È stata una giornata prettamente estiva quella di domenica scorsa 1° settembre 2024 a Mazara del Vallo. E’ stata però anche una giornata particolare in quanto ha riportato alla memoria due vicende drammatiche hanno segnato nell'animo la Città. La prima quella legata al rapimento della piccola Denise Pipitone, di cui è ricorso il 20° anniversario (ne abbiamo parlato in alcuni articoli); un autentico mistero italiano e pertanto non ancora risolto. L’altra vicenda, sempre legata alla data del 1° settembre è più recente, quella del sequestro, avvenuto esattamente 4 anni fa, di 18 pescatori della marineria mazarese in Libia, a Bengasi.

Una questione quella del contenzioso sugli areali di pesca antistanti la Libia che resta ancora oggi non risolta, nonostante durante e seguito di quella vicenda politici, ad ogni livello, promisero un forte impegno (altro che “promessa da marinai”…). Furono liberati il 17 dicembre dopo una visita lampo, accolta in pompa magna e con tanto di telecamere, al generale Khalifa Haftar, il rais della Cirenaica, dell'allora premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un lungo sequestro che ha visto le famiglie, le madri, le mogli e le figlie dei pescatori, di diversa nazionalità e religione, unite nella protesta condivisa e portata avanti grazie alle istituzioni locali, alla Diocesi e ai sindacati. Attraverso le prime pagine del libro "Mazara Rapita", curato dal sottoscritto e dal collega Max Firreri ed edito da Uila Pesca, riportiamo quelle drammatiche ore del sequestro dei pescatori e dei pescherecci.

"…Mazara del Vallo è una città abituata a convivere con l’angoscia e le paure. Una follia verrebbe da dire, se non si conoscesse la storia della marineria e i suoi rapporti difficili con le autorità dei Paesi magrebini che si affacciano sul Mediterraneo. Il 1° settembre 2020 è, dunque, un giorno diverso. Lo si respira nell’aria. Se in città si ricorda la scomparsa della piccola Denise, a circa 35 miglia a nord dalla costa libica, in pieno mare Mediterraneo, succede un fatto grave.

È sera quando alcuni miliziani a bordo di una motovedetta appartenente all’esercito del generale Khalifa Haftar sequestrano i pescherecci Medinea e Antartide e 18 pescatori della marineria di Mazara del Vallo. I motopesca erano partiti dal porto nuovo della città pochi giorni prima, dopo la sosta in banchina per il Ferragosto e per la festa di San Vito (patrono della città e dei pescatori). Da qualche giorno la motovedetta libica armata di mitragliette, con a bordo militari in divisa scura e occhiali neri a specchio, si aggira in maniera apparentemente disinteressata in quella zona di mare.

«Se hanno intenzione di sequestrare qualche peschereccio lo avrebbero già fatto fin dal loro arrivo», balena nella mente dei Comandanti dei due motopesca. L’aria si avverte che è quella di allerta: bisogna stare attenti che, se viene notato un avvicinamento minaccioso, si devono salpare subito le reti. Lo scenario comincia a cambiare dopo le ore 20. Il sole è già tramontato. Probabilmente tutto inizia con un ordine via radio arrivato da terra alla motovedetta libica. Il mezzo militare libico è una di quelli che – ironia della sorte – il Governo italiano ha donato alla Libia.

Con una manovra insolita e apparentemente innocua raggiunge il punto più vicino a tutti i pescherecci di Mazara del Vallo che in quel momento sono nella zona. Il mezzo libico a velocità raggiunge dapprima il motopesca Natalino (iscritto al Registro navale di Pozzallo ma con un equipaggio interamente mazarese, ndr). I militari libici sparano i primi colpi di mitra in aria, minacciano di sparare ad altezza d’uomo e intimano l’alt. Dal Natalino viene fatto trasbordare sul gommone il primo ufficiale Bernardo Salvo: il Comandante sta male e chiede a Salvo di scendere al posto suo.

La motovedetta si dirige poi verso altri due motopesca, Antartide e Medinea. Gli equipaggi a bordo sono formati da dieci e sei persone. Sul mezzo libico vengono costretti a salire i Comandanti Michele Trinca e Pietro Marrone. La caccia viene completata con l’abbordaggio del motopesca Anna Madre: sarà il giovane Giacomo Giacalone a lasciare l’equipaggio e a finire nelle mani dei libici. I miliziani bloccano Piero Marrone, Michele Trinca, Giovanni Bonomo, Nuccio Giacalone, Vito Barracco, Fabio Giacalone, Giacomo Giacalone, Dino Salvo, Karoui Mohamed, Mathlouthi Habib, Ben Haddada M’hamed, Jemmali Farhat, Ben Thameur Ilysse, Ben Thameur Hedi (tunisini), Ibrahim Mohamed Sarr e Daffe Bavieux (senegalesi), Indra Gunawan e Moh Samsudin (indonesiani).

I marittimi vengono accusati, anche se mai ufficialmente, di aver violato l’ampia fascia di mare che si estende 62 miglia in acque internazionali oltre le 12 territoriali, la cosiddetta ZEE (Zona Economica Esclusiva) istituita unilateralmente dalla Libia nel 2005. La sorte dei 18 pescatori sembra segnata: dopo alcune poche ore di navigazione arrivano al porto di Bengasi e vengono costretti a ormeggiare i due pescherecci. Le stive refrigerate sono piene di gambero rosso pescato, a bordo tutto ciò che l’equipaggio ha portato con sé per la battuta di pesca.

Il peschereccio, per chi pratica la pesca d’altura, è la seconda casa. Non c’è spazio per la mediazione tra i 18 pescatori e i miliziani. Non servono le parole e neanche gli sguardi preoccupati per dare spazio al cuore. Lo sbaglio dei mazaresi per i miliziani si paga col carcere. L’inizio dell’inferno è tracciato davanti ai 18 pescatori. L’ultimo loro sguardo all’indietro è verso i motopesca ormeggiati che i militari presidiano. I loro occhi davanti vedono posti sconosciuti tra angoscia e paura.

È il tempo del buio e della detenzione…".

Francesco Mezzapelle

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