Questa è una di quelle storie cha fa parte della memoria collettiva Mazarese da tempi tanto immemori che hanno dato spazio ad un arricchirsi e sovrapporsi di tante vicende. Tutto ebbe inizio ere fa,
quando la terra era abitata da uomini ciclopici, abbiamo sentito parlare di loro nelle storie elleniche, negli studi recenti in seguito alla scoperta di scheletri umani enormi, in siti dove si vedono costruzioni con blocchi tanto grandi e pesanti da risultare quasi logiche testimonianze della loro esistenza.
Anche la Sicilia, terra magica leggendaria e piena di mistero, non poté non vantare la presenza di uomini giganti. Due di loro erano parenti, si dice cugini, anche se in molti testi sono rappresentati come due acerrimi nemici e vivevano proprio dalle nostre parti, nella zona del fiume Mazaro.
Quel fiume (vedi foto n.2) che dalla sua nascita sul monte Castagna fino al suo estuario è stato culla di innumerevoli racconti e avventure. Il fiume ha sempre coinciso con la vita, con lo svilupparsi di società e con l’impianto di insediamenti più o meno grandi. In quella stessa zona le rive videro incessantemente l’approdare di tante diverse culture, per ragioni, belliche religiose e commerciali.
Anche i due antichi ciclopi, uno di nome “Mira” e l’altro “Ghiano”, scelsero quell’angolo di Paradiso per stabilire la loro dimora. Vedendolo adesso e immaginandolo scevro da ogni segno del tempo possiamo quasi far nascere nella nostra mente cosa poteva essere originariamente quell’esplosione di natura, guardare l’orizzonte e non averne bloccata a vista, udire i soli rumori del vento ed essere inebriati dal profumo della vegetazione e dalla freschezza dello scorrere dell’acqua. Natura allo stato brado!“Mira” e “Ghiano” la rendono loro dimora, la fauna li sfama, il fiume li rinfresca e la vegetazione li sollazza, le numerose grotte danno loro riparo, quelle stesse grotte le sappiamo rifugio di una miriade di gente nel corso dei secoli.
Chi approdava su quelle rive vi poteva trovare riposo prima di cimentarsi nell’esplorazione del territorio, magazzino di viveri e armamenti durante le varie battaglie che si sono combattute per l’egemonia di questo tratto di terra che vanta una ricchezza oggi non più riconosciuta. Perfino i cristiani durante le persecuzioni hanno trovato in esse un luogo tranquillo e isolato dove nascondersi ed esercitare la loro fede, così come ci immaginiamo gli ebrei o coloro i quali avevano i loro ben seri motivi per cercare un nascondiglio, in tal proposito scrive il Buonarroti nel 1873: "Nelle grotte di Miragliano, come mi disse il mio concittadino architetto can. G. Viviani, furonvi abitazioni trogloditiche, e tuttora osservansi vestigi di affreschi segno indubitato di essere state quelle stesse grotte catacombe de’ primitivi cristiani.”
E a chi mai sarebbe venuto in mente di avventurarsi nelle leggendarie e labirintiche grotte (vedi foto n.1) senza fine? Quelle grotte che molti hanno provato ad esplorare senza mai vederne la fine, quelle grotte che, si dice, abbiano inghiottito per sempre sette seminaristi (“la rutta di li setti parrini”) che forse per spirito d’avventura o forse chissà perché vi si erano avventurati, e che adesso ospitano i loro sette spiriti che ancora vagano senza trovare né l’uscita né la pace.
Esplorando qualcuna di essa per esempio la più conosciuta, conosciuta col nome di Ipogeo di San Bartolomeo, scoperto nel 1874 dal professor Cavallari della Soprintendenza ai Beni Culturali (quando ancora dimostrava impegno e amore per il territorio) che vi individuò una necropoli, la quale subì la violenza dell’estrazione del tufo dal 1700 circa, vista la presenza delle latomie che costituivano una risorsa edile, a causa di queste escavazioni furono svuotate molte tombe a grotticella, usate anche come abitazioni durante il periodo bellico.
All’interno si possono vedere delle nicchie con affreschi e probabili statue che rappresentano scene di vita cristiane o forse guerrieri a cavallo a testimonianza del passato che ha vissuto il luogo, fino all’istituzione recente di un luogo per lavorazione ittica negli anni ’60-’70 e all’idea di costruirci una pizzeria! Si sa che tra le tante culture insediatesi c’è stata anche quella di Diana e questo ci rimanda ad un’altra testimonianza di tale culto, presente, insieme a molti altri reperti, e cioè ai mosaici (danneggiati dall’incuria) della domus romana sottostante alla ricchissima e depauperata chiesetta di San Nicolò Regale, per la quale tanto ci siamo battuti in questi anni per il suo recupero e sempre continueremo a farlo (dov'è la Soprintendenza?).
Ma torniamo al nostro simpatico "duo fuori misura", la storia che li coinvolge ha due versioni, la prima li vuole cugini, non è dato sapere se avessero famiglia, forse sono stati abbandonati, forse fuggiti in seguito a chissà quale episodio, persi o forse allontanati volontariamente per una goliardica avventura campestre, sta di fatto che andavano d’amore e d’accordo, si aiutavano e difendevano a vicenda, un giorno senza che mai potessero aspettarselo, udirono degli strani rumori, iniziarono a vedere che il fiume si ingrossava velocemente a dismisura, forse furono i primi testimoni di quello che da tantissimi anni affascina, terrorizza e incuriosisce i mazaresi, il misterioso “marrobbio”, i due cercarono di mettersi in salvo per scampare alla furia dell’acqua, magari erano proprio immersi per fare una nuotata o pescare, o intenti a raggiungere l’altra sponda, sta di fatto che la forza della natura ebbe la meglio su quella dell’uomo anche se smisurato.
Al ristabilirsi della corrente li trovarono accanto, abbracciati e ormai senza vita; chissà che l’anomalo, ed affascinante, gorgoglio e l’incessante moto delle acque durante il “marrobbio” non sia dovuto al risveglio delle due anime dei giganti…
L’altra versione porta forse con sé un piccolo insegnamento, infatti narra che tra i due non corresse buon sangue, ma volendo vivere nella stessa porzione di terra decisero di stare uno sulla riva destra e l’altro su quella sinistra. La vita scorreva normalmente e nessuno dei due oltrepassava il proprio confine sfruttando ciò che la propria sponda offriva, ognuno di loro viveva in una grotta sempre nella propria porzione di territorio, ma ecco il giorno che sancisce la fine, nella notte mentre i due ignari dormivano, il fiume inizia a ingrossarsi fino a straripare e invadere le grotte che si trovavano a ridosso del fiume comprese quelle che ospitavano "Mira" e "Ghiano", che inevitabilmente morirono annegati. Furono trovati anche in questa storia abbracciati sul letto del fiume, chi e quando li abbia trovati resta un mistero ma è proprio questo che lo rende tale!
Il nome ha origine, secondo le storie appena narrate, dal fatto che furono trovati ognuno col proprio nome inciso sul petto, dalla cui unione nacque il termine: Miragliano (nel più fedele dialetto “Miragghiano”), ma secondo l’etimologia deriva da due parole arabe: “Emir-Guian”, Giardino dell’Emiro, e anche per questo battesimo potremmo aprire più ipotesi, sarà stato chiamato così quasi sicuramente durante il dominio arabo, ma chissà se davvero un Emiro lo abbia reso il suo giardino o se sia solo restato incantato alla sua vista magari durante lo sbarco o la perlustrazione del territorio, scarse e di difficile reperimento sono le testimonianze delle epoche passate che possono aprire un varco illuminato alla conoscenza del vivere antico, ed è proprio la voglia di non far morire le nostre storie che ci porta ogni settimana a provare a riproporVi un po’ di quel che è stato.
Di certo la memoria di molti abitanti lega l’incanto di Miragliano ad eventi goliardici e di festa, si era soliti organizzare durante il periodo pasquale delle uscite, al convento dei Cappuccini, a Miragliano e il giorno successivo alla chiesa di San Vito.Lì ci si sentiva liberi potendo trascorrere una giornata in allegra serenità, c’era chi si partiva da casa con il pranzo pronto, alcuni portavano invece il tutto per cucinare là, specie chi si partiva alle prime luci dell’alba, per prendere il posto migliore o per godere della brezza mattutina, e i visitatori del luogo godevano di una moltitudine di odori che favoriva di certo l’appetito, dalle sarde arrostite al formaggio, dal pane caldo alla salsiccia, dai carciofi alle varie pietanze preparate in casa, e non poteva mancare di certo il vino! Poi per i più distratti c’era la possibilità di comprare da bere direttamente sul posto, alcuni ragazzi infatti erano attrezzati con delle cassette contenenti bevande per lo più frizzanti per mandar giù facilmente il frutto di quella che era di regola una bella abbuffata!
L’aria di spensieratezza che si respirava, oggi potrebbe sembrare solo frutto di esagerazione di menti nostalgiche, ma come Vi abbiamo consigliato recentemente, provate a contestualizzare, Vi sarà facile vedere i Vostri nonni o padri in attesa del pranzo strimpellare qualche canzone dell’epoca, qualche stornellata a piena e limpida voce come erano soliti fare noti personaggi come il mai dimenticato signor Pisciotta, chi aveva una radio di certo la portava con sé e poi nel pomeriggio attendendo il tramonto per “cogghiri li ferri” e tornare a casa, si trascorreva il tempo a parlare, fare amicizia, giocare al gioco dei sacchi, a pallone nuotando nel limpido fiume, esplorando la zona o con più coinvolgenti giochi fluviali come la piñata, su delle piccole imbarcazioni si provava a rompere con un bastone la piñata che poteva contenere vari premi, o il gioco del palo, dove ci si doveva arrampicare su di un palo reso scivoloso dal grasso per recuperare dei sacchetti, che contenevano per lo più beni alimentari, da usare magari durante la stessa scampagnata o qualche sacchetto di cenere per rendere la sfida più divertente di certo più per gli spettatori che per il povero malcapitato!Il mistero del nostro racconto riguarda sia l’origine della leggenda sia l’inspiegabile motivo per il quale tutto ciò è andato pian piano scemando nel tempo fino quasi a scomparire del tutto, in epoca recente si è provato a rianimare la tradizione della scampagnata a Miragliano, ma come si può constatare ha lasciato il tempo che ha trovato, adesso è diventato meta turistica conosciuta ai mazaresi forse più per il passaggio a livello che ogni tanto gioca brutti scherzi, che per quello che rappresenta e potrebbe rappresentare.
Abbandono, mancata pulizia ed alcuni locali utilizzati come deposito comunale di pratiche di cittadini. Questa la situazione oggi nel “giardino dell’Emiro”, “parco di Miragliano” e relativo “Belvedere”, un ‘area, di circa 9 ettari in totale, di grande interesse storico-naturalistico che sorge fra le sponde del fiume Mazaro in quel tratto prosciugato. Grazie ai progetti degli architetti Bianca Asaro e Tatiana Perzia dell’Ufficio Urbanistica, il Comune aveva investito negli anni scorsi fino a 3 milioni di euro.
Nei tre siti erano stati creati strutture per l’ombra, un’area giochi e spazi ricreativi, strutture per servizi vari, ed un orto botanico che poteva divenire, per le specie vegetali presenti, fra i più importanti della Sicilia; si era proceduto alla riqualificazione delle aree, vedi in particolare quella delle grotte dell’ipogeo di San Bartolomeo (o dei Beati Paoli), antico ed importante luogo di culto. Tutto ciò ad oggi però sembra abbandonato a se stesso, e l’intera area, che poteva trasformarsi in un sito di grande attrazione turistica e di svago per le famiglie mazaresi, risulta degradata e quasi inaccessibile; purtroppo non è bastata la generosa azione dei volontari delle Guardie Ambientali Trinacria per preservare l’area dall’abbandono, il problema è l’assenza di una adeguata politica di marketing territoriale (Ahi che termine complicato!).
A seguito di un nostro sopralluogo due anni fa era stato notato anche che alcuni locali del sito sono stati utilizzati dal III settore del Comune come archivio di pratiche edilizie, sanatorie e del terremoto (vedi foto n.4). Doveva essere -così ci dissessro- una allocazione solo temporanea in attesa di liberare altri locali comunali ma ad oggi, a distanza di alcuni anni dalla fine dei lavori di restauro dell’ex Collegio dei Gesuiti, dove erano custodito l’archivio, nulla è cambiato.
In quei locali, insieme ad altri dei tre siti, il Comune intende avviare due progetti di laboratori per giovani, già finanziati con fondi comunitari per circa 600mila euro, intitolati “Ceramiche in città” e “Connecting and creating”. Infine, nessuna notizia in merito al finanziamento regionale Po-Fesr di oltre 1.700mila euro annunciato dall’amministrazione comunale nel 2011 per la realizzazione e la gestione in loco (affidata alla Agorasophia s.r.l., società selezionata dal comune con bando pubblico) del “Parco delle Arti”.
Chissà cosa penseranno i due giganti di fronte a queste vicende relative ad un’umanità piccola piccola…
Francesco MezzapelleRosa Maria Alfieri
02-08-2015 13,00
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