Mazara, Il mistero della scomparsa della “Pinacoteca chiamata Algeria”

La nuova questione del gas algerino riporta in auge una vicenda fin troppo sottaciuta

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
13 Aprile 2022 16:31
Mazara, Il mistero della scomparsa della “Pinacoteca chiamata Algeria”

Con lo scoppio della guerra in Ucraina a seguito dell’invasione russa si è riproposto ancor più fortemente il problema della dipendenza energetica dell’Italia. Circa il 40% del mix energetico italiano si appoggia sul gas naturale e questo, per la maggior parte, viene importato dalla Russia (40% circa). Altro grosso fornitore è l'Algeria questo grazie al gasdotto Transmed che riesce a connettere l'Algeria con il nostro Paese. E proprio in Algeria qualche giorno fa si è recato il presidente del Consiglio Mario Draghi al fine di potenziare la partnership energetica con il Paese maghrebino.

Draghi, in missione i ministri Luigi Di Maio e Roberto Cingolani, nonché con il numero uno di Eni, Claudio Descalzi, ha firmato con il presidente algerino Abdelmadjid Tebbouneun protocollo e un accordo che si tradurranno in 9 miliardi di metri cubi di gas algerino in più. Transiteranno dal gasdotto Transmed -quello che da Capo Bon, in Tunisia, arriva a Mazara del Vallo attraversando il Canale di Sicilia- dove passa, già ora, il 31% di gas che l’Italia importa attualmente dall’Algeria, seconda sola alla Russia (40%).

La centrale del metanodotto di Mazara del Vallo fu inaugurata nel 1981, l’anno nel quale cominciò ad arrivare il gas algerino con il gasdotto intitolato al grande Enrico Mattei. All’inaugurazione presenziarono l’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani e l’omologo algerino, a fare gli onori di casa fu l’allora sindaco Nicolò Vella. In quell’occasione Eni, proprietaria dell’impianto, donò alla Città di Mazara del Vallo l’opera “Pinacoteca chiamata Algeria" rappresentante su pannelli l’arte rupestre algerina (vedi foto di copertina): 42 immagini rupestri del deserto del Sahara preistorico, allora verde e popolato; si trattava di uno dei più prestigiosi beni artistici dell’umanità al cui studio contribuirono etnologici, sociologici e storici, anche italiani.

Quei dipinti rupestri risalivano alla preistoria e raffiguravano animali ormai scomparsi nel Sahara, scene di caccia e di sesso, una popolazione di pastori di pelle nera insieme ad un'altra di colorito chiaro, divinità dalla testa d'uccello.

La Pinacoteca si sviluppava su 24 pannelli e l’Eni, oltre ai pannelli, realizzò una struttura nel palazzetto di C/da Affacciata, con tutti gli accorgimenti possibili per mantenere la fragilità dei materiali impiegati, con flussi di aria condizionata a temperatura costante. La “Pinacoteca Algeria” fu poi trasferita in una delle Gallerie del Palazzo dei Padri Carmelitani, sede del Comune. Successivamente, dalla fine del 2004, venne spostata e di essa si persero le tracce dopo esser stata dislocata presso un magazzino comunale in contrada Affacciata e poi in altre sedi comunali, con il serio rischio di andare in rovina, ciò fino alla sua scomparsa della quale ci siamo già occupati negli ultimi anni.

La Pinacoteca Algeria non si trova più –ha dichiarato di recente lo stesso avv. Nicolò Vella, divenuto dopo la sua terza esperienza di sindaco, presidente dell’Istituto “Il Duemila”- E’ una storia di punti interrogativi, di silenzi, di misteri, di inciviltà che si perpetua. Un’opera di capitale interesse storico-artistico e di forte richiamo turistico, di prestigio e di orgoglio della Città”.

E’ auspicabile e necessario che qualche rappresentante dell’Amministrazione, magari l’attuale assessore comunale alla cultura Germana Abbagnato, dia direttive per la seria ricerca dell’opera e di eventuali responsabilità circa la sua scomparsa. Non vorremmo che un domani, anche prossimo, con l’inaugurazione di un nuovo gasdotto dall’Algeria qualche Autorità chieda nuovamente l’esposizione di quell’opera.

Francesco Mezzapelle

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