Matteo Messina Denaro “era di casa” a Mazara del Vallo

La movida da giovane, l’attentato a Germanà, il “colpo” del Satiro Danzante e l’ultima operazione all’Ospedale A. Ajello

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
21 Gennaio 2023 07:15
Matteo Messina Denaro “era di casa” a Mazara del Vallo

La cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro e le serrate indagini di questi giorni, soprattutto concentrate a Campobello di Mazara, dove il boss avrebbe trascorso l’ultimo periodo della sua trentennale latitanza, ma anche nella sua città natale Castelvetrano, potrebbero fornire importanti elementi per ricostruire la fitta rete dei complici che in questi anni hanno coperto gli spostamenti della “primula rossa”. Chissà che la rete delle relazioni di Matteo Messina Denaro non risulti ancora solida pure nelle altre realtà del trapanese, ed in particolare a Mazara del Vallo, Città che il figlio del capo mandamento di Castelvetrano, lo “zio Ciccio”, ha iniziato a frequentare fin da giovanissimo, tra la metà degli anni ’80 e gli inizi dei primi ’90, quando ancora era un uomo libero.

Il giovane Matteo Messina Denaro (nel foto collage di copertina a sx una sua immagine del tempo) frequentava la “movida” che animava in quegli anni Mazara del Vallo. Frequentava gli allora ristoranti più rinomati della Città dove gustava pesce di ottima qualità pescato dai pescherecci mazaresi (in quegli anni, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, la marineria di Mazara del Vallo era al culmine della sua potenza e contava oltre 300 imbarcazioni da pesca); il giovane rampollo di “cosa nostra” sarebbe stato un profondo estimatore di gambero rosso il cui mercato a quei tempi era ancora abbastanza di nicchia.

Sempre con il suo gruppo di amici, giovani emergenti del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, avrebbe frequentato locali del centro, del lungomare Hopps; dopo aver posteggiato la sua Porsche in bella vista, con addosso capi firmati, l’immancabile foulard e occhiali a specchio Rayban (per coprire lo strabismo), avrebbe raggiunto gli altri seduti un tavolo al centro a brindare con champagne, in attesa di “scendere” tutti insieme in discoteca. Nel frattempo il giovane Matteo cresceva e si faceva le ossa divenendo insieme all’amico fraterno Giuseppe Graviano, boss di Palermo-Brancaccio, anch’egli frequentatore di Mazara del Vallo, il prediletto, quasi un figlio acquisito nel caso di Matteo, del “capo dei capi” Salvatore Riina (che era molto legato al padre Francesco) anche lui assiduo frequentatore di Mazara del Vallo ove peraltro viveva il fratello ove spesso soggiornava soprattutto d’estate.

Alla sua forte passione per il gentil sesso il giovane Matteo associava uno spirito sanguinario nell’assecondare, e chissà a volte nel suggerire, le spietate decisioni, anche in chiave stragista, dello zio Totò.

Proprio a Mazara del Vallo, per esattezza sul Lungomare Fatamorgana, sulla spiaggia di Tonnarella, il 14 settembre del 1992 Matteo Messina Denaro fu protagonista, a capo di un gruppo armato, formato dal cognato di Riina, Leoluca Bagarella, e di Giuseppe Graviano, dell’attentato al commissario di polizia, nonché vice questore di Trapani, Rino Germana, che conduceva indagini sugli affari e i legami politici della “borghesia mafiosa”. Il piano del commando criminale fallì grazie alla prontezza dello stesso Germanà che a bordo di una Fiat Panda, dopo essere uscito dall’ex sede del Commissariato mazarese, in via Toniolo, si accorse di esser seguito da un’auto sospetta, una Fiat Tipo.

Prima di arrivare nella sua villetta di Tonnarella, ove lo stesso Commissario risiedeva con la sua famiglia, Germanà, in un tratto del lungomare Fatamorgana, quando l’auto sospetta stava per affiancarlo, frenò di colpo e abbandonò la Panda, si riparò in spiaggia rispondendo con la sua pistola di ordinanza al fuoco dei killer che infine desistettero; la Fiat Tipo fu abbandonata e data a fuoco dietro ad un casolare vicino la centrale Snam di Capo Feto. Rino Germanà, ferito di striscio, soccorso da alcuni bagnanti e residenti, fu trasferito subito in una località segreta, oggi è in pensione; a Germanà nel 1997 la Città conferì la cittadinanza e lo scorso 14 settembre, a trent’anni di distanza, nei pressi del luogo dell'attentato, dinanzi alla Chiesa di S.

Chiara, è stata scoperta, alla presenza dello stesso Germanà, una lapide che ricorda quella drammatica giornata.

Dopo pochi mesi dal fallito attentato a Rino Germanà, Matteo Messina Denaro iniziò la sua trentennale latitanza. Alla luce di quanto scoperto dopo la sua cattura lo scorso 16 gennaio, e cioè il fatto che il superboss, sotto falso nome si aggirava tranquillamente nel territorio, ovviamente coperto da protezioni e fiancheggiatori, ad ogni livello, risulta pertanto molto probabile che lo stesso, magari a bordo della sua Alfa Romeo Giulietta color nero (questa l’auto che si cerca a seguito del ritrovamento del mazzo di chiavi all’interno del borsello che portava al momento dell’arresto) sia stato anche fra le due rive del Mazaro (forse si sarà chiesto il perché quel fiume non fosse più navigabile e il perché si attende un dragaggio che l’ultima volta è avvenuto quando lui stesso non era ancora latitante). Chissà quante volte MMD in questi anni, impegnato in vari business (certamente ben diversi da quelli coltivati dal suo padrino corleonese) dal territorio di Castelvetrano o da Campobello di Mazara (compresa la frazione di Torretta Granitola) si sarebbe recato a Mazara del Vallo ricordando magari i vecchi tempi, i vecchi amici (molti dei quali in carcere, qualcuno forse già morto).

Potrebbe aver cenato in qualche nuovo ristorante sorto negli ultimi anni in Città, chissà forse a base di “cruditè” di pesce (non avrebbe badato a spese come si evince dagli scontrini ritrovati nell’appartamento di vicolo San Vito), apprezzato qualche nuovo gusto di gelato o prodotto di pasticceria, fatto la spesa in un supermercato mazarese, tagliato i capelli e la barba in uno dei nuovi saloni, frequentato magari da gente giovane che non potesse riconoscerlo da qualche tratto presentandosi ovviamente con nome falso.

L’estimatore del personaggio cinematografico di Joker (un quadro ritrovato nella sua residenza-nascondiglio) potrebbe aver anche semplicemente passeggiato nel centro della Città, fra Corso Umberto I, piazza Mokarta, piazza della Repubblica e poi deciso magari di visitare il Museo del Satiro Danzante, in piazza Plebiscito, ripensando a quel tempo, pochi giorni dopo la “pesca” della statua bronzea avvenuta nel Canale di Sicilia nel marzo del 1998 grazie al motopesca mazarese “Capitan Ciccio”, quando fece scattare un piano, anche con complici locali, per rubare la statua, risalente al IV sec.

ed attribuita da diversi critici d'arte a Prassitele. “Diabolik” ha ereditato la passione per l'arte dal padre Francesco e avrebbe potuto “rivendere”, guadagnando diversi milioni di euro, attraverso il mercato illegale delle opere d’arte il Satiro Danzante grazie al compaesano Giovanni Franco Becchina, mercante d’arte vissuto anche in Svizzera il cui patrimonio alcuni fa è stato sequestrato in un’operazione condotta dalla DIA. Matteo aveva ordinato di rubare, ovviamente a mano armata, il Satiro Danzante.

Era già stato studiato un piano; si erano compiuti i sopralluoghi; chi doveva attuarlo possedeva ogni mezzo per condurlo in porto: solo un banale contrattempo ne impedì la realizzazione. Dell’operazione Satiro fu incaricato il marsalese Concetto Mariano, un pentito che faceva parte della famiglia di Messina Denaro: proteggeva la latitanza dei fratelli Giacomo e Tommaso Amato (come lui di Marsala, e condannati all'ergastolo). Il collaboratore di giustizia dichiarò di aver ricevuto l’incarico dai vertici del suo mandamento mafioso, ovviamente da Matteo Messina Denaro.

Nei giorni precedenti al “colpo” diversi erano gli uomini di MMD che controllavano la zona del centro storico di Mazara del Vallo nei pressi dell'ex Collegio dei Gesuiti, sempre in piazza Plebiscito, dove in una stanza il Satiro era imballato per il trasporto a Roma per il restauro; il Satiro era piantonato da due vigili urbani. Tutto era pronto, gli uomini di Matteo Messina Denaro si spostavano con dei motorini; erano in possesso di armi, e, per il trasporto del Satiro, di un Ducato con portellone laterale.

Una sera, seguono uno dei vigili, che esce per acquistare delle pizze; al ritorno, quando stava per essere preso ed obbligato a far entrare i rapinatori, improvvisamente arrivò gente, parenti degli stessi vigili che furono invitati a mangiare con loro la pizza. Così i rapinatori desistettero. Dopo poche ore il Satiro fu portato via per il restauro.

Poco meno di due anni fa ci chiedemmo come Matteo Messina Denaro vivesse il periodo dell’emergenza covid-19 e soprattutto il lockdown che aveva chiuso milioni di persone a casa per alcuni mesi nella primavera del 2020; girava in mascherina anche lui costretto a nascondersi da trent’anni? E proprio qualche giorno fa veniamo invece a scoprire che “u’ siccu” dopo aver scoperto di aver un cancro al colon era stato operato all’Ospedale “Abele Ajello” di Mazara del Vallo; l’intervento era avvenuto alla metà di novembre proprio del 2020, quando si facevano solo operazioni di urgenza considerata ancora l’emergenza covid-19.

D’altronde presso il nosocomio mazarese infatti vi è un’unità operativa di Chirurgia che rappresenta una punta di eccellenza della sanità siciliana, e non solo, grazie ad un’equipe medico-infermieristica di alto livello che ha condotto in questi anni molti delicati interventi di tipo oncologico. Ovviamente anche qui Matteo Messina Denaro aveva utilizzato un falso nome, quello di Andrea Bonafede lo stesso con il quale avrebbe avuto accesso successivamente alle cure chemioterapiche presso la nota clinica palermitana “Maddalena “ ove finalmente catturato.

Francesco Mezzapelle  

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