Un ​massacro passato inosservato: Salvatore Inguì e “I Martiri della Terra"

Il nuovo libro del Referente Provinciale di Libera è ambientato in America Latina fra gli Indios difensori di Pachamama

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
11 Maggio 2021 15:19
Un ​massacro passato inosservato: Salvatore Inguì e “I Martiri della Terra

Un massacro passato inosservato. Tanti, troppi sacrifici, fatti da un esercito pacifico che difende Madre Terra, la feconda, generosa genitrice a cui dobbiamo rispetto e attenzione. Salvatore Inguì, direttore dell'Ufficio Servizi Sociale Minorenni e coordinatore di Libera Trapani, ha dato voce a chi voce non ha nel suo coinvolgente libro uscito proprio (e non a caso) lo scorso 22 Aprile, giornata dedicata alla Terra appunto. Il libro di Inguì dal titolo forte “I Martiri della Terra” è il frutto di uno dei suoi tanti viaggi nell’America Latina, nello specifico del 2019 per incontrare la rete Alas (America Latina Alternativa Sociale) insieme a don Luigi Ciotti pochi mesi prima della pandemia.

Nei suoi viaggi, Inguì ha incontrato molte popolazioni indigene ed è venuto a conoscenza di una realtà sconosciuta ai più. C’è chi, pur di difendere una foresta, un fiume, le farfalle e altri animali selvatici, sacrifica la propria vita per l’affermazione di un sacrosanto diritto: la salute del nostro Pianeta.

Salvatore Inguì, nel suo libro, lei racconta che ci sono persone capaci di farsi ammazzare pur di proteggere l’habitat delle farfalle. Può sembrare naif ed è invece profondamente spirituale. E’ così?

"Nei miei viaggi ho incontrato un esercito pacifico di difensori della Natura, difensori del cosiddetto microcosmo che è prepotentemente importante per il resto del mondo".

Ci spieghi cos’è questo microcosmo, Inguì.

"Il microcosmo è quello che loro, gli indios, chiamano la biodiversità. E’ un concetto esteso a tutta la Terra, la Madre Terra. Se curiamo la biodiversità a Palermo, ad esempio, è un benessere che si propaga su tutta la Terra, non è circostanziato al luogo. E questo è un punto molto dibattuto sul libro che ho scritto e che è dedicato a tutti quei Martiri dell’America Latina che si sono sacrificati per proteggere la biodiversità. Vede, il concetto ribadito nel libro che raccoglie almeno 20 storie di indios, uomini e donne uccisi perché ostacolavano la distruzione delle foreste, è quello dell’unità. Noi occidentali siamo abituati a vedere la realtà “spezzettata” e ribadiamo spesso l’origine diversa degli abitanti della Terra, ci dividiamo persino in quartieri diversi mentre a me fa impressione la visione “globale” di questi abitanti dell’America Latina, negli Indigeni, nei Nativi, intendo".

Un concetto molto interessante, di simbiosi totale con la Natura potremmo dire?

"Tutti i nativi del Nuovo Continente hanno una visione cosmogonica di un mondo che è Uno. E’ il concetto di Pachamama, il concetto della Madre Terra. Faccio un esempio: se la Terra è il corpo della Madre ed io distruggo una parte di esso, a risentirne è l’intero corpo, ovvero, non faccio male soltanto ad una parte ed il resto non ne risente. Se io distruggo una foresta in Australia, è tutta la Terra a soffrirne. L’anno scorso, mentre eravamo presi giustamente dall’emergenza Covid19, mezzo Pianeta è stato devastato. E’ stata distrutta gran parte della foresta amazzonica, della foresta australiana, del Kilimangiaro il quale ha bruciato per giorni, uno dei polmoni verdi dell’Africa, senza contare il dissesto della Groenlandia".

Quale è il messaggio che vuole trasmettere attraverso il suo libro?

"Siciliani, groenlandesi e Honduregni, siamo tutti abitanti della stessa Terra. Io dicendo questo faccio un discorso razionale ma quello che accade lì è qualcosa di diverso".

Ovvero?

"La Terra, le foreste, la Natura circostante insomma, è avvertita in modo “Spirituale”. Essere circondati dalla Natura è un dialogo con lo Spirito, con qualcosa che li riguarda personalmente, un tutt’uno con la loro anima. Il benessere della Natura è avvertito come loro benessere, non è qualcosa di esterno, che non li riguarda".

Noi occidentali concepiamo la Natura come un qualcosa al nostro servizio?

"Sì, perfettamente, e il bello è che non mi hanno spiegato niente, non mi hanno dato nessuna lezione di ambientalismo o di ecologia. Era tutto il loro modo di fare a insegnare, ecco perché mi è arrivato tutto il loro esempio. Per gli Indios, la Natura è noi. Fa meraviglia e l’ho riportato anche nel mio libro, che qualcuno si faccia ammazzara per proteggere le farfalle ma in realtà, per la concezione che hanno i Nativi, “Noi siamo quelle farfalle”. La gente che si è fatta ammazzare per salvare i bulldozer che stavano sradicando gli alberi della foresta, era quegli alberi. Sono la stessa cosa, non due elementi distinti. Le donne Indios che ho incontrato e che protestano per la deviazione del corso un fiume mi hanno detto che loro sono la voce del fiume. Il fiume non parla e loro possono. Quelle donne sono quel Fiume".

Inguì, lei ci dona un’immagine corale, panteistica, coinvolgente.

"Il fiume non sa dire che la sua deviazione è una violenza, dobbiamo essere noi a dirlo, questo è importante. Dobbiamo imparare a riconoscere che noi siamo la Natura. E’ il concetto di fondo di questo libro".

Lei è spesso impegnato nella raccolta di plastica e altra spazzatura inquinante depositata nel mare. Possiamo definire questa attività come una sorta di simbiosi con quel mare liberato dalla plastica?

"Sì, è proprio così, è quello che sento io quando pulisco la riva, il mare dal polistirolo. E’ come se mi liberassi anche io, come se pulissi la mia anima, il mio corpo. Abbellire intorno a noi, è abbellire noi stessi. E’ questo quello che mi hanno fatto sentire gli Indios senza l’uso delle parole soltanto con il loro modo di essere. Fare del male alla Natura è come farlo a noi stessi. Viviamo in un tipo di società che si autoflagella. Vorrei suggerire a tutti di leggere un libro scritto da Giuseppe De Marzo che tra l’altro interviene con un paio di pagine nel mio libro".

Di cosa parla questo libro?

"Giuseppe De Marzo ha vissuto anni con gli indigeni della Bolivia ed è un attivista ambientalista. Ha scritto un libro che si intitola “Radical choc” dove mette in evidenza, attraverso anche lo studio di scienziati, tutto quello che noi stiamo subendo e patendo, compresa la pandemia Covid19 che altro non è se non il risultato della nostra azione di distruzione della Natura. Già nel 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva avvertito sui possibili futuri rischi e non è che avesse la bacchetta magica. Si è soltanto basata su studi ed effetti prevedibili. Questo perché abbiamo distrutto negli ultimi 50 anni il 50% delle specie selvatiche presenti in Natura ed è per questo che il virus trasmigra dall’animale all’uomo. Quando si modifica un habitat, la reazione è inevitabile".

Insomma, se si elimina una sorta di by pass fra mondo selvatico e uomo, i virus non possono che aumentare?

"Sì, certo. La notizia della distruzione di buona parte della barriera corallina è passata quasi inosservata ed invece è importantissima. Coì come il resoconto scientifico fatto da un’equipe di ritorno dal Polo Nord che ha parlato di effetti irreversibili nei ghiacciai perenni che si stanno sempre più assottigliando. Molte città limitrofe al mare saranno sommerse fra qualche anno, molte isolette scompariranno, un ecosistema che si inabissa".

 Viviamo in una caducità perenne e ci ostiniamo a stigmatizzare tutto come se fosse eterno, e a nostra eterna disposizione. La nostra è una società edonista convinta che la Natura sia solo utile per fornirci tutto quello che ci serve. E’ un mio pensiero. E’ d’accordo con quest’analisi?

"Sì, perfettamente, racchiude la sintesi".

Tiziana Sferruggia

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