“La pesca della memoria”. Vincenzo Giacalone: “ancora l’aricchi mi fischiano…”

L’ex comandante ricorda l’affondamento del peschereccio “Rosa Gancitano” a seguito di un tentato sequestro

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
09 Febbraio 2022 16:01
“La pesca della memoria”. Vincenzo Giacalone: “ancora l’aricchi mi fischiano…”

Quarto appuntamento con la nostra rubrica, in collaborazione con la “Casa del Pescatore”, dedicata alla pesca di Mazara del Vallo ed in particolare alla sua memoria storica attraverso il racconto di vecchi pescatori (e non solo): episodi curiosi, aneddoti etc. Incontriamo Vincenzo Giacalone, 77 anni, ex comandante di pescherecci. La sua ‘ngiuria è “cazzuni” e ci spiega il perché: “perché in famiglia eravamo tutti con la testa dura, testardi”.

Il comandante Giacalone è ormai in pensione da alcuni anni: “ho iniziato ad andare a pesca dopo aver frequentato l’Istituto ‘Marittimo’. Il mio primo imbarco lo ricordo ancora, avevo 15 anni, è stato il 20 settembre 1960, data indimenticabile: mi sono imbarcato con il motopesca Asinelli”. Ricorda alcune sue esperienze: “Sono stato sequestrato diverse volte fra la Tunisia e la Libia. Sono stato a pescare anche a bordo di pescherecci atlantici, 7 anni fra Sierra Leone, Ghana, facevamo base a Lomè, in Togo; andavamo a pescare al largo della Nigeria e prendevamo per lo più gamberi”.

L’ex comandante Giacalone (in foto copertina) ha così raccontato un fatto tragico accaduto circa 40 anni fa: “ero comandante del motopesca ‘Rosa Gancitano’ di proprietà dei “Simana”, ‘ngiuria degli armatori Gancitano. Eravamo in piena estate e stavamo pescando a 20 miglia sud di Lampedusa, facevamo pesca di banco quindi a triglie, calamari etc.. Ad un certo punto si avvicina minacciosa una motovedetta tunisina, premetto che eravamo in acque internazionali; così avverto tramite la radio di bordo la Marina Militare Italiana.

La motovedetta tunisina si affianca a noi e effettua l’abbordaggio: 4 militari tunisini armati di mitraglietta salgono a bordo e ci dicono di dirigerci verso la Tunisia. Chiudono l’equipaggio in una cabina e resto soltanto io in plancia di comando. Arriva nel frattempo la corvetta italiana “Todaro” che comincia a sparare colpi di cannone, anche in acqua, per far desistere i tunisini dal loro intento e per convincerli ad abbandonare il peschereccio. La motovedetta tunisina però non ci stava e continuava a dirigersi verso la Tunisia seguita dal motopesca preso a comando dai militari saliti a bordo.

Questa cosa è durata un bel pezzo. Così il comandante della nave militare italiana ha tentato l’abbordaggio. Nel tentativo di evitare l’abbordaggio il peschereccio viene colpito a poppa dalla corvetta, da bitta a bitta. In quel momento il mio pensiero è corso al mio equipaggio rinchiuso in una cabina. Sono corso immediatamente a liberarli tagliando la corda che teneva chiusa la maniglia della porta della saletta; non mi interessava che vi fosse a guardia uno dei tunisini armati. Appena liberati i miei uomini si sono buttati in mare in quanto il peschereccio stava affondando. Un tunisino vicino la sala macchina mia ha sparato, fortunatamente non mi ha preso, il colpo è finito contro una “testa ri vinci” della barca, ho avuto paura, sento ancora “l’aricchi chi mi fischiano”.

A quel punto in ginocchio entro dentro la cabina ed ho preso i libretti di navigazione, ho contato gli uomini in mare, il mio equipaggio composto da 11 uomini. Erano tutti vivi in acqua e con loro anche i militari tunisini che si erano buttati. Mi sono così buttato anch’io e abbiamo visto il nostro peschereccio che è colato a picco in fondo al mare mentre una motobarca della “Todaro” ha prelevato noi e i militari tunisini salvandoci”.

Francesco Mezzapelle   

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