La Guerra e l'orrore del silenzio

Nel centenario della nascita del grande Pasolini, Bia Cusumano si chiede cosa avrebbe detto sulla guerra di Putin

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
07 Marzo 2022 09:54
La Guerra e l'orrore del silenzio

In questi giorni ricorre il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, scrittore, saggista, poeta, grande e visionario intellettuale. Mi sono chiesta se davanti all’orrore dei carri armati russi che avanzano straziando vite e uomini su Kiev, colpendo il cuore dell’Ucraina, Pasolini sarebbe rimasto muto. Lì lì, per un attimo, l’ho visto tra quei bombardamenti e quelle case sventrate, quelle urla disperate di uomini e donne a cui tutto, una guerra crudele, sta togliendo. Si aggirava il grande intellettuale e guardava quello che già aveva visto. (in foto Pier Paolo Pasolini). 

Perché i poeti vedono prima, sentono prima, giungono oltre e altrove prima. E no, Pasolini non taceva. Mi sono tornate in mente le sue parole: “Vedo di fronte a me un mondo doloroso e sempre più squallido… La parola speranza è completamente cancellata dal mio vocabolario”. E poi ancora: “Lo sapevi, peccare non significa fare il male. Non fare il bene, questo significa peccare”. Pasolini guardava esterrefatto i profughi, rifugiati ormai ovunque, implorava fosse data loro la possibilità di essere accolti.

Guardava le scuole ridotte a brandelli, i giardini con i fiori di Kiev rasi al suolo, i bimbi trucidati e i loro corpicini ormai privi di vita. E mai egli avrebbe potuto credere che ricordarlo, celebrarlo oggi sarebbe equivalso a parlare di distruzione, morte, carri armati, orrore. Non so se sia l’istinto folle di un potente che gioca a conquistare una terra come fosse solo una pedina del suo scacchiere. Non so se sia la bramosia di sopraffare chi è più debole o la voglia e la smania di dimostrare al mondo di essere padroni del proprio e dell’altrui destino.

Non so di chi siano le vere responsabilità o le cause economiche, politiche e geopolitiche di tutto questo orrore. . Non so se sarà la terza guerra mondiale. Non sono uno storico, non possiedo, e lo ammetto con umiltà, molte verità. Non ho competenze e così profonde conoscenze da stare a dissertare se sia colpa o responsabilità della Russia, della Nato, dell’America o dell’Europa. Io so che da poeta non posso tacere davanti all’orrore, alla morte e alla distruzione. Che nessuno di noi può.

E gli intellettuali, non possono non prendere posizione, non urlare la loro indignazione assoluta, senza resa, senza dubbio alcuno. E giunge Quasimodo a sostenermi, con i suoi versi tratti da Uomo del mio tempo, in cui affermava: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. (…) T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta”. Sì, siamo ancora quelli del loro tempo.

Quelli del tempo di Pasolini e di Quasimodo. Siamo quelli che seminiamo ancora distruzione e morte, incapaci di amare, di ascoltare, di perdonare, di comprendere, assetati di potere e di denaro. E mi giungono i versi di una grande poetessa siriana anche lei fuggita all’orrore della guerra, Maram al-Masri, che in "Arriva nuda la libertà" canta: “Lo avete visto? Teneva il figlio in braccio e si faceva largo a passo spedito camminando dritto e a testa alta. Quel figlio si sentirebbe tanto orgoglioso e felice tra le braccia del padre se solo fosse vivo”.

E sento la voce di Bertolt Brecht che ne "La guerra" che verrà diceva: “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente”. E giunge ancora sommessa la voce della poetessa polacca, proprio adesso che la Polonia apre le sue “frontiere” ai profughi ucraini, Wislawa Szymborska, e ci ricorda: “(…) Dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire. In fondo un po’ d’ordine da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare i carri pieni di cadaveri. C’è chi deve sprofondare nella melma e nella cenere, tra le molle dei divani letto, tra le schegge di vetro e gli stracci insanguinati. (…) Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c’è chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole”. No, Wislawa, mia adorata poetessa, mi spiace contraddirti ma noi poeti, scrittori, intellettuali di questo orribile tempo, non possiamo stare con la spiga tra i denti.

Non possiamo, adesso che il sangue scorre a fiotti e i nostri figli muoiono massacrati, non urlare con tutto il fiato che abbiamo in gola e poco importa se i nostri versi siano perfetti, se rispettino gli schemi metrici, se siano da annoverarsi tra quelli che faranno la poesia da ricordare, leggere e studiare sui futuri manuali di Letteratura Italiana. Noi qui, adesso, urliamo di disperazione, rabbia e dolore e con la tenacia e la forza della poesia, delicata come un fiore ma più forte di un carro armato, diciamo NO alla follia dell’orrore.

E i Grandi della terra in qualche modo ci sentiranno, giuro che in qualche modo il nostro disperato appello giungerà a toccare i loro cuori. E voi, poeti che prima di noi, umili servitori della Parola, avete visto, sentito, intuito, scritto, voi di cui leggiamo e amiamo i versi ancora oggi e che cerchiamo come i nostri padri, i nostri vati, i nostri profeti, le nostre sentinelle vigili della Bellezza, vi prego, unite il vostro canto al nostro, così che la Poesia vinca sulla follia umana di cuori criminali, senza pietà alcuna.

Non potranno non ascoltarci. Vi chiamo a raccolta, ovunque voi siate. Qui adesso insieme a noi, fermate questo Inferno che stiamo vivendo, questa Apocalisse infinita. Perché, se è vero che la Bellezza salverà il mondo, abbiamo un disperato bisogno di credere che sia davvero così non domani ma oggi, adesso, ora.

Bia Cusumano

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