“Il mio pomeriggio con Simonetta Agnello Hornby”.Di Catia Catania

Redazione Prima Pagina Mazara
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20 Luglio 2016 08:11
“Il mio pomeriggio con Simonetta Agnello Hornby”.Di Catia Catania

Quando l'ho vista arrivare, sbucando da un vicolo della casbah in direzione della libreria, cosi minuta mentre trascinava un trolley più grande di lei e lo zainetto rosso da ragazzina sulle spalle, ho pensato che non potesse essere lei Simonetta Agnello Hornby, la famosa scrittrice che da giorni aspettavo di incontrare in un'attesa densa di curiosità e apprensione.

L'avevo letta e riletta in queste settimane, e insieme ai suoi libri avevo letto biografie, interviste, guardato filmati televisivi su youtube. E ogni volta c'era un dettaglio, un aneddoto, un'informazione in più che me la facevano apparire straordinaria, e mi convincevano che davvero gran parte delle volte non basti una vita intera per contenere tutte le cose che ha fatto lei, e farle bene come le ha fatte lei, l'avvocato, il giudice, la sostenitrice dei diritti dei bambini, delle donne vittime di violenza, il patrocinio gratuito agli immigrati di Londra, i viaggi, una vita vissuta tra l'Italia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l'Africa, e poi la famiglia, con lei sempre cosi presente, e quel figlio Giorgio che si ammala di sclerosi multipla, già grande e sposato, e lei che se lo carica sulle spalle con tutta la carrozzina e lo porta in giro per l'Italia, per vedere se questo è un paese a misura di disabile.

E poi arriva questa passione per la scrittura che le esplode dentro, ad un'età in cui normalmente ci si appresta alla pensione e ai nipotini, e lei diventa una delle scrittrici più lette in Italia, la più apprezzata in Sicilia, tradotta in tutto il mondo.

La guardo venirci incontro e penso che sembra una turista meravigliata e felice, rapita dalla bellezza del centro storico, delle stradine che ha percorso per arrivare fin qui. Ha quegli occhi vispi e curiosi di chi ha intelligenza per le cose, e quello stupore candido di chi guarda tutto per la prima volta, e continua a ripetere: “Ma quanto è bella, ma quanto mi piace questa città”.

Racconta di persone che ha incontrato l'ultima volta che è stata qui, di parenti lontani, di quell'aristocrazia che le appartiene ma se le chiedi scrolla le spalle, come un peso, una cosa capitata per caso a chi non ha colpe né meriti. E mentre Valentina e Francesca le vanno incontro per accoglierla, io mi avvicino, mi presento, lei mi abbraccia e mi bacia come una vecchia amica ed esclama felice “Ma noi ci conosciamo!” (in foto n.1 da sx Valentina Calamusa, Catia Catania, Simonetta Agnello Hornby, Francesca Battista).  

Ma no che non ci conosciamo, penso io, eppure io la conosco eccome, è da dieci giorni che sto appresso a lei, ai suoi libri, alle sue interviste, e so tante cose, e altre vorrei saperne. So che si rilassa stirando, anche se al povero marito stirava solo il davanti e i polsini delle camicie sperando che non arrivasse mai la primavera e lui dovesse togliere la giacca, so che ama perdutamente Camilleri di cui è grande amica e conosco il travaglio della prima lettera che gli scrisse. So quanto ama il siciliano, quello un po' antico, rimastole nel cuore e nella testa quando, giovanissima, si trasferì a Londra. E che a volte, parlando o scrivendo, usa parole siciliane credendo convintamente che sia italiano. So che non ha grande stima per gli inglesi, ma questo meglio dirlo sottovoce.

E so, lo capisco, standoci insieme e parlandole per queste tre ore che ho il privilegio di trascorrerle accanto, che Maria, la protagonista di “Caffè Amaro”, non è sua nonna, come ci vuol far credere, ma è lei, Maria cosi intelligente e curiosa, cosi moderna in una Sicilia ancora cosi antica. E davvero Maria ci fa scoprire che a volte ci vuole una vita intera per portare a compimento il proprio destino, una vita a cadere e a rialzarsi, a liberarsi da catene e zavorre, una vita per rimanere fedeli a se stessi.

Inizia la presentazione. La Chiesa di Sant 'Ignazio è gremita, la gente è ovunque, seduta, in piedi, a terra, sulle balate di pietra. Mai vista tanta gente alla presentazione di un libro. Mi dice che le piace parlare in piedi, offre la sua sedia per chi non ha posto a sedere, poi da via anche la mia. Non mi spiace parlare al leggìo. Fa tutto lei, si concede subito alla gente, agli autografi, alle foto. Poi inizia a raccontare e non si ferma più. Il pubblico è incantato.

Brillante, ironica, divertente, è un fiume in piena. Mi spiazza, mi stravolge la scaletta, anticipa le mie domande. Sono costretta ad inseguirla, ad improvvisare ad inventarmi di tutto. La lascio parlare, so che ama raccontare, le lancio qualche assist che lei coglie al volo per narrare qualcuno dei suoi aneddoti divertenti. Il pubblico segue, incantato, affascinato, divertito. Mi diverto molto anch'io. E anche lei. Alla fine è felice, incredula.

“Ma quanto amo questa città,” mi dice mentre va via, - con la sua cassetta di gambero rosso che ha voluto assolutamente pagare- “Altrimenti non lo prendo, me lo ha chiesto mia cugina di Palermo” chiarisce.

“Voglio tornare, tornerò con mio figlio, se c'è una stanza d'albergo per disabili”, ci saluta mentre la macchina la porta via, nella notte, verso Palermo.

Francesco Mezzapelle

20-07-2016 10,00

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