A margine dell’evento-incontro “Mediterraneo: il lavoro nella pesca, un patrimonio comune che rischia di sparire” organizzato da Uila Pesca e che ha chiuso nella mattinata di ieri la tre giorni del master di formazione per giornalisti intitolato “Uomo a mare! Autori di nuovi pezzi sul Mediterraneo” organizzato dalla Diocesi di Mazara, Fisc, Uila e patrocinato dal Comune, abbiamo fatto il punto sulla situazione della pesca, con particolare attenzione al comparto di Mazara del Vallo, con Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, e con Enrica Mammucari, segretario nazionale di Uila Pesca,
“Il Mediterraneo – ci ha dichiarato Pierpaolo Bombardieri (in foto con il sottoscritto) - non si cura diminuendo lo sforzo, non serve solo regolare, normare il settore della pesca, bisogna anche fornire la possibilità di investire. E’ il caso di approfondire altri temi ad esso collegato. A un anno dalla vicenda dei 18 pescatori di Mazara del Vallo rimasti sequestrati a Bengasi, noi abbiamo provato ad affermare un principio che ci contraddistingue come sindacato: noi non lasciamo nessuno da solo. Le problematiche del settore pesca – ha aggiunto il segretario della Uil – vanno affrontate con più attenzione dal Governo. E’ necessario coniugare sostenibilità economica, ambientale e sociale. Senza un giusto equilibrio questo settore non avrà futuro”.
Nel corso del convegno, alla quale presenti diversi armatori, pescatori ed i familiari dei 18 marittimi sequestrati a Bengasi per 108, Uila Pesca ha reso pubblici alcuni dati aggiornati a dicembre 2020 relativi alla flotta peschereccia italiana nel Mediterraneo:
11.917 unità da pesca, per un tonnellaggio totale di 139.000 GT, per una potenza motore media di 915.00 kW, a bordo delle quali sono occupati circa 25.000 lavoratori. Rispetto al 2004 questa flotta si è ridotta del 19,8%, in numero di barche e del 27,6% e 23,5%, rispettivamente in termini di GT e kW, a seguito delle politiche di riduzione dello sforzo di pesca che hanno incentivato la demolizione delle imbarcazioni di maggiori dimensioni.
Nel 2020 la produzione ittica dell’Italia – sempre secondo i dati di Uila Pesca- si è attestata intorno a 130.000 tonnellate, per un ricavo di 642,45 milioni di euro. In un solo anno, rispetto al 2019, abbiamo perso il 26% della produzione e il 28% dei ricavi. A causa della pandemia e della riduzione delle uscite in mare, nel 2020 si è pescato per una media di 130-140 giorni in Adriatico e di circa 180 in Tirreno. E nel prossimo futuro le giornate diminuiranno ancora, avendo la Commissione europea già previsto una ulteriore riduzione dello sforzo di pesca tra il 7 e il 14%, a seconda delle diverse regioni, fino a 115-125 in Adriatico e 160-165 nel Tirreno.
“È evidente che, dal punto di vista occupazionale –ha sottolineato Enrica Mammucari- gli effetti sono stati drammatici. Abbiamo perso oltre 18 mila posti di lavoro negli ultimi vent’anni. Un’indagine da noi svolta nel 2019 ha rivelato che poco più del 10% della forza lavoro è costituita da giovani di età inferiore ai 35 anni, mentre quasi il 40% ne ha più di 55 , che è l’età media dei lavoratori della pesca italiana e d’altro canto come stupirsi! Quale giovane potrebbe sentirsi attratto da un lavoro così faticoso, senza tutele e senza nemmeno la certezza di prospettive future? Se aggiungiamo poi che l’immagine quasi mitologica del pescatore è stata sostituita da quella denigratoria di predatori e usurpatori del mare, non possiamo che considerarli eroi quelli che ancora vivono di pesca”.
Quanto valgono la pesca e il mare per il nostro Paese?
“A noi sembra molto poco, a tutti i livelli decisionali –ha spiegato il segretario nazionale di Uila Pesca- e molto poca l’attenzione rivolta agli uomini e alle donne che operano nella pesca. Manca una volontà politica orientata al rilancio del settore che rischia di pagare, come è già avvenuto in altri settori, la crescente tendenza a mortificare le produzioni locali. La sensazione è che si stia pericolosamente “esplorando” la soglia di sostenibilità del comparto senza capire che, una volta toccato il limite della linea dei costi fissi, ci troveremo in una situazione di non ritorno che porterà ad un rapido collasso del sistema pesca del nostro paese.Non siamo disfattisti, né pessimisti e non chiediamo assistenzialismo -ha chiarito la Mammucari- La nostra non è una mera rivendicazione di categoria.
È una ribellione etica verso un sistema che sta soffocando il settore, giorno dopo giorno, regolamento dopo regolamento e in un susseguirsi di promesse non mantenute. Vogliamo che i giovani possano avvicinarsi al settore in un clima di certezza del reddito e di rispetto dei diritti del lavoro, diversamente da quanto avviene oggi. Vogliamo che gli spiragli di autonomia lasciati dalla Politica Comune della Pesca vengano utilizzati dal nostro Paese per implementare una gestione delle risorse e dei diritti di pesca condivisa in maniera equa e proficua con i Paesi rivieraschi”.
Francesco Mezzapelle