Il recupero della barca affondata nel porto di Marinella

Bia Cusumano ci racconta del sacrificio e del mutuo soccorso dei pescatori in quel luogo di incontro e di fatica

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
14 Novembre 2021 08:30
Il recupero della barca affondata nel porto di Marinella

Li vedi. Stivali gialli, funi in mano, tutti in fila. Una lunga fila di mani, di volti, di corpi, in un unica corale voce: Oisa. Una barca flagellata dalla furia del cielo. Una bomba di acqua si è scaraventata sulla nostra Comunità. Una ferita nel cuore di Selinunte. Una barca, fonte di vita per una famiglia. Una barca sommersa dal fango nel porticciolo che da sempre è il luogo di incontro e condivisione dei nostri pescatori Selinuntini, tra la speranza di un buon pescato e la precarietà di una vita vissuta alla giornata.

Li vedi, i nostri pescatori, tutti uniti a compiere un gesto di fatica immensa, tutti insieme per Nino. Giocchino, uno dei marinai, con gli occhi gonfi di dolore ma di una forza che è dignità immensa davanti al disastro della natura, non si piega, non si perde d' animo, non molla, insieme ai suoi compagni, per Nino. E non molla la fune, la trattiene forte tra le dita come si trattiene la vita stessa minacciata dalla morte e flagellata dalle avversità. La barca lentamente riaffiora dal fango impietoso, dal mare che l' ha inghiottita.

Affiora come un tesoro prezioso che torna lentamente alla bellezza della vita che rinasce sempre oltre ogni perdita, oltre ogni ferita, oltre ogni disastro naturale, oltre ogni maceria. Gioacchino si accascia a terra per un attimo per la fatica immensa ma con lo sguardo fiero di un uomo di mare che sa che la sua vita è tutta intessuta di tempeste e sole, di onde, salsedine, scirocco, precarietà e bellezza. Sosta e in quel silenzio nei suoi occhi scorrono le stagioni della sua vita e della vita di tutti i marinai.

Giorni e notti trascorsi sulle imbarcazioni, il pesce portato a riva, venduto agli avventori, ai turisti, agli amici, ai compaesani. Lui e i suoi compagni di mare, i suoi amici marinai, hanno aiutato Nino senza che servisse chiedere, con slancio, con generosità, con il senso prezioso che in mare si è una famiglia, che il destino di ciascuno è legato a quello dell' altro. Le sue parole: Ca' semu una famiglia! Sì i pescatori di Selinunte lo sono, lo hanno dimostrato e nel loro cuore generoso e forte è inciso un codice linguistico del non detto che è potente come lo sono le parole : Aiuto e Grazie.

È potente questo codice linguistico perché è intessuto di appartenenza e di una solidarietà che è il senso più profondo dell' essere uomini e cittadini. Nino Coppola ha una storia da raccontare che merita ascolto. I marinai hanno una storia che merita rispetto e la loro voce è una voce antica, forte, ancestrale, fatta di rituali, di occhi e braccia che si stringono davanti la furia per fare scudo o per alzarsi al cielo in segno di gratitudine e gioia. Sì i nostri marinai Selinuntini hanno molto da insegnare ai nostri giovani ed anche ai nostri adulti.

E la frase di Gioacchino: "ca' semu una famiglia" ovvero siamo dalla stessa parte, siamo una sola cosa, un solo polmone e un solo cuore, questa frase non può che restare scolpita in ognuno di noi. Non potevo tacere, da cittadina Castelvetranese davanti a tanta disarmante Bellezza che nasce dal Dolore e sigla appartenenza. Dobbiamo riscoprire il nostro senso di appartenenza, perché o marinai o artigiani, o docenti, o avvocati, o medici, o qualsiasi altro mestiere svolgiamo nella nostra vita, siamo prima di tutto uomini e quindi siamo una Famiglia.

Siamo dalla stessa parte e non possiamo sopravvivere al Dolore e alle perdite se non insieme, uniti, raccolti in un abbraccio che supera ogni individualismo, ogni competizione, ogni fazione. Grazie Gioacchino. Ci hai donato parole che sono gesti. Gesti che sono semi di possibile cambiamento. Grazie per la tua indomita speranza e per la tua tenacia. Ce la hai fatta per Nino. Ce l'avete fatta. Tutti possiamo farcela solo se Insieme.

Bia Cusumano

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