Continua la caccia al super latitante Matteo Messina Denaro, con l’ennesima operazione antimafia coordinata dai Carabinieri del Ros con il supporto dei Comandi provinciali di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta che si sta svolgendo in queste ore. Sono 23 i fermati nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo contro Cosa nostra e Stidda. In azione anche i militari del 12esimo Reggimento Sicilia, dello ‘squadrone’ eliportato ‘Cacciatori Sicilia’ e del nono Nucleo elicotteri.
Tra le accuse, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale e tentata estorsione. Per 2 anni i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti nello studio di un’avvocata di Canicatti’ finita in cella oggi nel blitz dei carabinieri del Ros che ha portato a 22 fermi. La legale, difensore di diversi mafiosi, era la compagna di un imprenditore gia’ condannato per associazione mafiosa. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perche’ la legge limita le attivita’ investigative negli uffici degli avvocati.
L’inchiesta e’ stata coordinata dalla Dda di Palermo. Gli inquirenti hanno accertato che la donna, Angela Porcello, compagna di un mafioso, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attivita’ dei clan. Rassicurati dall’avvocato sulla impossibilita’ di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicatti’, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate (Pa) e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra.
L’indagine del Ros e’ stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo. Fra i 23 arrestati nel blitz dei carabinieri del Ros ci sono anche cancellieri, un ispettore di polizia e agenti della polizia penitenziaria che secondo il procuratore aggiunto della Dda di Palermo Paolo Guido e i sostituti Claudio Camilleri, Calogero Ferrara, Gianluca De Leo avrebbero permesso a tre boss di Agrigento, Trapani e Gela di mandarsi messaggi a distanza grazie all’assenza di controlli nelle sale colloqui delle carceri e alla complicità di alcuni agenti.
Il boss agrigentino Giuseppe Falsone avrebbe sfruttato l’aiuto di un avvocato. Il legale riceveva le lettere non solo di Falsone ma anche di altri due capimafia di Trapani e Gela detenuti al 41 bis che non venivano sottoposte a censura e poi inviava le risposte ai tre boss detenuti a Novara. Matteo Messina Denaro continua ad essere figura che gode di autorita’ e prestigio in Cosa nostra. E quanto emerge dall’indagine antimafia del Ros dei carabinieri sfociata nel fermo nei confronti di 23 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa.
Tra loro lo stesso superlatitante, che al momento rimane tale. Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, estorsione, favoreggiamento aggravato. Le cosche agrigentine, oltre a giovarsi di un’attuale e segretissima rete di comunicazione con il boss latitante, riconoscono unanimemente in Messina Denaro “l’unico a cui spetta l’ultima parola” in quel contesto territoriale sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’organizzazione. E’ sempre lui – “U siccu” – che autorizza e deve dare il benestare.