“Una punta di Sal”. Lavorare in nero per sopravvivere. Anche a Mazara

Redazione Prima Pagina Mazara

La mancanza di lavoro è uno dei flagelli che da sempre caratterizzano il Meridione d’Italia e la Sicilia in particolare. Eppure c’è chi sostiene che il lavoro ci sia. La provincia di Trapani si attesta sul 28% di disoccupati. Secondo i dati Istat, nel 2019 il tasso di disoccupazione a Mazara era del 31,38%, un dato molto preoccupante che per le donne, dai 15 ai 30 anni sale addirittura al 55%. Ci sarebbe però da aprire il capitolo del lavoro in nero che costituisce un insieme di grandi truffe nell'esercizio di un'attività professionale e nell'assunzione di dipendenti.

Contribuisce alla disorganizzazione della società, favorisce l'esclusione e la precarietà, l'evasione fiscale e sociale. Le sue conseguenze sono particolarmente dannose. Gli esempi non mancano. Nello scorso mese di luglio i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Trapani, in servizio congiunto con militari dei Comandi Stazione CC di Marsala e Mazara del Vallo, hanno eseguito dei controlli ad alcune attività commerciali operanti nel settore dei pubblici esercizi volti a contrastare il fenomeno del lavoro nero.

I controlli effettuati si sono concentrati sulle attività di ristorazione nelle località balneari della provincia ed hanno visto sottoporre ad accertamenti ben 7 attività tra ristoranti e pizzerie. All’esito del servizio si evidenziano i preoccupanti risultati riscontrati dai Carabinieri, ben 14 lavoratori in nero e 5 irregolari su 52 presenti, a significare che i prestatori d’opera non regolarizzati rappresentano circa il 40% della forza effettivamente assunta e assicurata. Oltre alle sanzioni pari a 55.000 euro sono stati disposti i relativi provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale, volte a garantire il rispristino delle condizioni contrattuali con i lavoratori non regolarmente assunti previsti dalla vigente normativa in materia di occupazione.

Migliaia i lavoratori uomini e donne che lavorano tutto i giorni o part time per somme irrisorie pur di andare avanti. Pochi soldi mensili e molti dicono “meglio che niente. Aiuto la famiglia”. Come se ne esce? Secondo Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo che è intervenuto nel rapporto, bisogna “formare meglio i giovani, favorire canali di ingresso adeguati al mondo del lavoro (orientamento vocazionale, alla formazione e al lavoro), garantire loro sussidi di disoccupazione dignitosi nei periodi di fuoriuscita dal mercato lavoro con percorso di accompagnamento al rientro, programmi di riqualificazione, implementare politiche abitative adeguate (supporto agli affitti e all’acquisto della prima casa, social housing) che permettano ai giovani di avviare un ciclo di accumulazione della ricchezza: sono queste le politiche di cui si avrebbe bisogno e su cui il nostro paese è strutturalmente carente”.

Tutto bene, tutto ok ma nel frattempo questi giovani dove li mettiamo? L'Istat nel suo rapporto sui giovani e la transizione verso l'età adulta sottolinea che per i “millennials” e per i “post millennials”, ovvero tutti i nati tra il 1987 e il 2003, c'è un "decadimento qualitativo delle opportunità di occupazione". Così crescono insoddisfatti e “Neet”, un acronimo che intercetta e descrive la sempre più scarsa partecipazione dei giovani al mercato del lavoro. Parliamo di “Neet”, infatti, quando ci riferiamo a giovani ragazzi e ragazze (15-29 anni, ma talvolta anche 34 anni) che non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione (es.

stage). Lavoro e giovani millennials, quindi, con incertezze crescenti. Soprattutto per chi vive nel Mezzogiorno d’Italia. In particolare in quelle regioni, come la Sicilia, dove è maggiore il calo demografico. Meno popolazione, un sistema produttivo debole e minore ricchezza hanno un impatto molto significativo sul benessere dei giovani che oggi hanno tra i 20 e i 36 anni. Il sentimento di “insicurezza verso il proprio futuro” nel 2021 interessa infatti oltre un giovane meridionale su cinque.

Si sfiora il 22% al Sud contro il 15 per cento del Centro-nord. La quota è più contenuta in Piemonte (12,3 per cento) e Veneto (14,9 per cento), più ampia in Calabria (25,1), Sicilia (27,9 per cento), Sardegna (22 per cento) e Puglia (21,6 per cento). Di fatto, con meno opportunità lavorative, la permanenza in famiglia e i percorsi di istruzione si prolungano. Se la carenza di opportunità lavorative stabili e di buona qualità “nel Mezzogiorno non è di certo una novità”, ricorda l’Istat, la situazione fra i millennials appare più grave.

Il tasso di attività tra i 20-34 anni, già basso nella generazione precedente (60,3 per cento per i nati tra il 1967 e il 1983) si riduce ulteriormente al 54,4 per cento per i millennials del Sud. Il tasso di occupazione al Sud passa al 41,6 per cento dal 45,3 per cento del Centro-Nord. Resta molto elevato il tasso di disoccupazione che è notevolmente aumentato con l’eliminazione del reddito di cittadinanza. Ora si parla di un “salario minimo” ma sono i posti di lavoro a tempo indeterminato che fanno crescere la ricchezza nel Paese Italia.

Salvatore Giacalone