"Teatro amore mio", "Metti, una sera a cena" di Giuseppe Patroni Griffi

Redazione Prima Pagina Mazara

“Metti, una sera a cena” nasce come pièce teatrale, che Patroni Griffi porta in scena all'Eliseo di Roma nel 1967 con grande successo di pubblico e con repliche che si susseguono per ben due anni. Protagonisti della prima edizione, che aveva come regista Giorgio De Lullo, erano gli attori della Compagnia dei giovani.

Una commedia di grandissimo successo che ripropone all'attenzione del pubblico la formazione nota Falk – De Lullo – Valli – Albani – Giuffrè e Umberto Orsini che ha già fatto parte della équipe, in "D'amore si muore“?. 

Patroni Griffi è un autore che con la compagnia ha saldi legami non solo sul piano artistico ma anche e soprattutto per i vincoli di una lunga amicizia che data dall'ormai lontano 1958, anno in cui la compagnia mise in scena il primo lavoro teatrale del commediografo.

"Metti una sera a cena” è la terza commedia di una trilogia che persegue e prosegue nell'indagine di Patroni Griffi sull'amore come componente esistenziale. Una indagine che fedele ad un suo principio soggettivo è riuscita ad inserirsi nella problematica del tempo e quindi a divenire la base per una più accurata messa a fuoco oggettiva. 

Oggi, come ha scritto un critico, d'amore non si muore più. In tempi di automazione, nel regno di una civiltà di cemento e di macchine, nella assoluta aridità di una vita che spegne i suoi acuti, in una realtà che non ammette fratture, esistono soltanto ipotesi esistenziali. Quando anche le ipotesi cesseranno di esistere sarà la fine. 

La commedia di Patroni Griffi è una ridda di ipotesi snervanti per la loro disperante ricerca, gelide nella loro sessualità, raccolta in fondo a ciascun personaggio che le manifesta per non morire. Amore, amore, amore disperatamente ma l'amore non viene ed anche quando la scintilla sembra scoccare viene subito spenta per non tradire coloro che sono vicini, il GRUPPO, per non cessare il gioco della sopravvivenza, per non spalancare una finestra dove la luce della realtà entrando possa ferire, uccidere. In una perenne instabilità emotiva che si contrappone ad una rigida posizione intellettiva, le tragiche creature di Patroni Griffi si ritrovano in un contatto che le conduce, per l’impossibilità di sostenerlo, ad una raggelante unione di corpi, ignoti dopo il distacco. 

L'aridità concettuale così strenuamente voluta nega i pochi barlumi di un qualche cosa di non ben definito che potrebbe salvare, il gruppo, come un seduttore maligno, finisce per riportare a sé un nuovo convertito e tutto si ricompone. E c’è anche il film del 1969 diretto dallo stesso Patroni Griffi con l’interpretazione dell’allora esordiente Florinda Bolkan che le valse la Grolla d’Oro e un David di Donatello.

La pellicola, come nella piece, descrive il triangolo amoroso tra Nina (Florinda Bolkan), il marito e scrittore Michele (Jean-Louis Trintignant) e l’amante di lei, attore teatrale, nonché amico del marito, Max (Tony Musante). La trama, sostanzialmente esigua di eventi salienti, mostrerà il progressivo ampliarsi del triangolo amoroso che assumerà le fattezze di quadrato e, successivamente, di pentagono, tramite l’ingresso di Giovanna e di Ric (amante di Nina e di Max). 

Una pellicola, non più giovanissima, ma che conserva indiscutibilmente, anche per via delle raffinate ambientazioni e dei costumi sofisticati, un alone di fascino, sia pur esso retrò ed intellettualistico.

Salvatore Giacalone