Cronache dei Quartieri: Miragliano e la sua storia
Continua il nostro percorso alla scoperta dei quartieri della nostra spelndida città dando spazio ad un altro luogo fondamentale da sempre esistito nel nostro territorio e che ha dato le basi allo sviluppo di Mazara del Vallo. Parliamo del quartiere di Miragliano.
Il fiume Mazaro dalla sua nascita sul monte Castagna fino al suo estuario è stato culla di innumerevoli racconti e avventure. Il fiume ha sempre coinciso con la vita, con lo svilupparsi di società e con l’impianto di insediamenti più o meno grandi. In quella stessa zona le rive videro incessantemente l’approdare di tante diverse culture, per ragioni, belliche religiose e commerciali. Anche i due antichi ciclopi (così nasce il nome del quartiere), uno di nome “Mira” e l’altro “Ghiano”, scelsero quell’angolo di Paradiso per stabilire la loro dimora. Vedendolo adesso e immaginandolo scevro da ogni segno del tempo possiamo quasi far nascere nella nostra mente cosa poteva essere originariamente quell’esplosione di natura, guardare l’orizzonte e non averne bloccata a vista, udire i soli rumori del vento ed essere inebriati dal profumo della vegetazione e dalla freschezza dello scorrere dell’acqua.
Natura allo stato brado! “Mira” e “Ghiano” la rendono loro dimora, la fauna li sfama, il fiume li rinfresca e la vegetazione li sollazza, le numerose grotte danno loro riparo, quelle stesse grotte le sappiamo rifugio di una miriade di gente nel corso dei secoli. Chi approdava su quelle rive vi poteva trovare riposo prima di cimentarsi nell’esplorazione del territorio, magazzino di viveri e armamenti durante le varie battaglie che si sono combattute per l’egemonia di questo tratto di terra che vanta una ricchezza oggi non più riconosciuta.
Perfino i cristiani durante le persecuzioni hanno trovato in esse un luogo tranquillo e isolato dove nascondersi ed esercitare la loro fede, così come ci immaginiamo gli ebrei o coloro i quali avevano i loro ben seri motivi per cercare un nascondiglio. E a chi mai sarebbe venuto in mente di avventurarsi nelle leggendarie e labirintiche grotte senza fine? Quelle grotte che molti hanno provato ad esplorare senza mai vederne la fine, quelle grotte che, si dice, abbiano inghiottito per sempre sette seminaristi (“la rutta di li setti parrini”) che forse per spirito d’avventura o forse chissà perché vi si erano avventurati, e che adesso ospitano i loro sette spiriti che ancora vagano senza trovare né l’uscita né la pace. Esplorando qualcuna di essa per esempio la più conosciuta, conosciuta col nome di Ipogeo di San Bartolomeo, scoperto nel 1874 dal professor Cavallari della Soprintendenza ai Beni Culturali che vi individuò una necropoli, la quale subì la violenza dell’estrazione del tufo dal 1700 circa, vista la presenza delle latomie che costituivano una risorsa edile, a causa di queste escavazioni furono svuotate molte tombe a grotticella, usate anche come abitazioni durante il periodo bellico.
All’interno si possono vedere delle nicchie con affreschi e probabili statue che rappresentano scene di vita cristiane o forse guerrieri a cavallo a testimonianza del passato che ha vissuto il luogo. Ma torniamo al nostro simpatico “duo fuori misura”, la storia della loro fine porta con sé un piccolo insegnamento, si pensi ai sentimenti di invidia, all’avidità e alla mancata unità anche in periodi di ricchezza che ha portato la città a regredire progressivamente in questi ultimi due decenni. Infatti si narra che tra i due giganti “Mira” e “Ghiano” non corresse buon sangue, ma volendo vivere nella stessa porzione di terra decisero di stare uno sulla riva destra e l’altro su quella sinistra del fiume Mazaro.
La vita scorreva normalmente e nessuno dei due oltrepassava il proprio confine sfruttando ciò che la propria sponda offriva, ognuno di loro viveva in una grotta sempre nella propria porzione di territorio, ma ecco il giorno che sancisce la fine, nella notte mentre i due ignari dormivano, il fiume inizia a ingrossarsi fino a straripare e invadere le grotte che si trovavano a ridosso del fiume comprese quelle che ospitavano “Mira” e “Ghiano”, che inevitabilmente morirono annegati; la forza della natura ebbe la meglio su quella dell’uomo, anche se smisurato, e sull’odio dei due giganti . Forse “Mira” e “Ghiano” furono i primi testimoni di quel fenomeno che da tantissimi anni affascina, terrorizza e incuriosisce i mazaresi, il misterioso “Marrobbio” che ingrossa le acque del fiume Mazaro con un modo ondoso in entrata ed in uscita e che provoca paura e molti danni ai pescatori.
Fatto sta che al ristabilirsi della corrente “Mira” e “Ghiano” furono trovati abbracciati uno all’altro e ormai senza vita; chissà che l’anomalo, ed affascinante, gorgoglio e l’incessante moto delle acque durante il “marrobbio” non sia dovuto al risveglio delle due anime dei giganti… Il nome della zona ha origine, secondo le storie appena narrate, dal fatto che furono trovati ognuno col proprio nome inciso sul petto, dalla cui unione nacque il termine: Miragliano (nel più fedele dialetto “Miragghiano”), ma secondo l’etimologia deriva da due parole arabe: “Emir-Guian”, Giardino dell’Emiro, e anche per questo battesimo potremmo aprire più ipotesi, sarà stato chiamato così quasi sicuramente durante il dominio arabo, ma chissà se davvero un Emiro lo abbia reso il suo giardino o se sia solo restato incantato alla sua vista magari durante lo sbarco o la perlustrazione del territorio, scarse e di difficile reperimento sono le testimonianze delle epoche passate.
Di certo la memoria di molti abitanti lega l’incanto di Miragliano ad eventi goliardici e di festa, si era soliti organizzare durante il periodo pasquale delle uscite, al convento dei Cappuccini, a Miragliano e il giorno successivo alla chiesa di San Vito.Lì ci si sentiva liberi potendo trascorrere una giornata in allegra serenità ,c’era chi si partiva da casa con il pranzo pronto, alcuni portavano invece il tutto per cucinare là, specie chi si partiva alle prime luci dell’alba, per prendere il posto migliore o per godere della brezza mattutina, e i visitatori del luogo godevano di una moltitudine di odori che favoriva di certo l’appetito, dalle sarde arrostite al formaggio, dal pane caldo alla salsiccia, dai carciofi alle varie pietanze preparate in casa, e non poteva mancare di certo il vino! Poi per i più distratti c’era la possibilità di comprare da bere direttamente sul posto, alcuni ragazzi infatti erano attrezzati con delle cassette contenenti bevande per lo più frizzanti per mandar giù facilmente il frutto di quella che era di regola una bella abbuffata! Poi nel pomeriggio attendendo il tramonto per “cogghiri li ferri” e tornare a casa, si trascorreva il tempo a parlare, fare amicizia, giocare al gioco dei sacchi, a pallone nuotando nel limpido fiume, esplorando la zona o con più coinvolgenti giochi fluviali come la piñata, su delle piccole imbarcazioni si provava a rompere con un bastone la piñata che poteva contenere vari premi, o il gioco del palo, dove ci si doveva arrampicare su di un palo reso scivoloso dal grasso per recuperare dei sacchetti, che contenevano per lo più beni alimentari, da usare magari durante la stessa scampagnata o qualche sacchetto di cenere per rendere la sfida più divertente di certo più per gli spettatori che per il povero malcapitato!
Insomma, ecco un altro quartiere, un'altra perla preziosa che rende grande la nostra città ma soprattutto la rende ricca di cultura ed ancora una volta la rende testimone delle storia nel tempo.
Roberto Marrone