Ultime della sera: “L’abitudine”

Riflessioni sull’amore con Oriana Fallaci.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
12 Giugno 2021 18:30
Ultime della sera: “L’abitudine”

L'abitudine è la più infame delle malattie

perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia,

qualsiasi dolore, qualsiasi morte.

Per abitudine si vive accanto a persone odiose,

si impara a portar le catene, a subir ingiustizie,

a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto.

L'abitudine è il più spietato dei veleni

perché entra in noi lentamente, silenziosamente,

cresce a poco a poco

nutrendosi della nostra inconsapevolezza

e quando scopriamo di averla addosso

ogni fibra di noi s'è adeguata,

ogni gesto si è condizionato

non esiste più medicina che possa guarirci.

Prendendo spunto da questa poesia di Oriana Fallaci e da alcune sue letture riguardo l'amore, ho il piacere di condividere questa sintesi.

Psicologia dell'amore: la morte di un'amore

La morte di un amore è come la morte di una persona amata. Lascia lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l'hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido, mutilato. Ti sembra di essere rimasto con un occhio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la metà perduta di te stesso: colui o colei con cui ti sentivi intero. Nel farlo non ricordi nemmeno le sue colpe, i tormenti che ti inflisse, le sofferenze che ti impose. Il rimpianto ti consegna la memoria di una persona straordinaria, di un tesoro unico al mondo, né serve a nulla dirsi che ciò è un offesa alla logica, un insulto all'intelligenza, un masochismo.

(in amore la logica non serve e il masochismo raggiunge vette da psichiatria). Poi un po' alla volta ti passa. Magari senza che tu ne sia consapevole. Lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce ed il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare.

Ti rendi finalmente conto che l'oggetto del tuo amore morto non era né una persona pregevole anzi straordinaria, né un tesoro unico al mondo. Lo sostituisci con un altra metà o presunta metà di te stesso e per un certo periodo recuperi la tua interezza.

Però sull'anima lascia uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa e ti accorgi di non essere più quello di prima del lutto. La tua energia si è infiacchita, la tua curiosità si è affievolita e la tua fiducia nel futuro si è spenta, perché hai scoperto d'aver sprecato un pezzo della tua esistenza che nessuno ti rimborserà.

Ecco perché, anche se un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo.

Ecco perché in caso di coma boccheggia, cerchi di rinviare l'istante in cui esalerà l'ultimo respiro. Lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un'ora, un minuto.

Ecco infine perché, anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo, o addirittura tenti di resuscitarlo.

Alzati Lazzaro e cammina!

di Rita Vita MARCECA

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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