Misteridicttà/Mistero tra le mura della Caserma dei Carabinieri. Il caso La Rosa.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
08 Agosto 2015 23:31
Misteridicttà/Mistero tra le mura della Caserma dei Carabinieri. Il caso La Rosa.

“Quella sera a Milano era caldoMa che caldo che caldo facevaBrigadiere apra un po' la finestraE ad un tratto Pinelli cascò.

"Ora basta indiziato Pinelli"– Calabresi nervoso gridava –"Tu Lo Grano apri un po' la finestraQuattro piani son duri da far."

In dicembre a Milano era caldoMa che caldo che caldo facevaÈ bastato aprir la finestraUna spinta e Pinelli cascò.”

 

Il mistero che Vi proponiamo questa settimana fa parte di una lista di accadimenti spesso taciuti dalla cronaca nera, quella cronaca che, se serva dello Stato si lascia malleare a sua immagine e somiglianza, non ritenendo opportuno raccontare qualcosa che possa mettere in cattiva luce la forza dello stato quando diventa Stato di forza. Più che narrare, per l’epoca sarebbe stata una denuncia, difficile anche per chi ha il compito di informare, in quanto è un mettere all’erta la popolazione verso chi ha giurato davanti al Tricolore di servirci e proteggerci.

Chi ha superato gli “anta” di certo collegherà gli omicidi di stato a immagini di lotta e di proteste che erano qualche volta accompagnate poi da feretri contenenti chi per la lotta si era speso, omicidi strani, celebre il triste caso dei sette fratelli Cervi, o dell’anarchico Giuseppe Pinelli la cui storia è narrata nella “Ballata del Pinelli” (della quale Vi abbiamo proposto uno stralcio in apertura, la versione integrale, testo e canzone, la potete trovare qui: http://www.nelvento.net/pinelli.html ). Gli anni di piombo (1969-1984) furono solo la massima concentrazione a livello nazionale di episodi simili, 350 morti circa tra attivisti, civili, terroristi e forze dell’ordine, innumerevoli feriti senza tener conto delle stragi.

Le fazioni che rappresentavano le varie ideologie, le “guardie” e i “ladri” sembrava avessero solo metodi violenti per esprimersi e per coprire la “voce” dell’altro, già la stampa e la propaganda, specie quella clandestina denunciava tutti i misfatti dell’una o dell’altra parte, ma purtroppo ciò che avviene dove manca penna e calamaio, o una bocca che lo racconta, resta sottaciuto, ma mai per sempre!Tuttavia non è possibile ascrivere gli “omicidi di Stato” in un periodo o in un luogo ben definito, è più un fenomeno legato all’essere, forse un periodo che ha dato maggior potere alle forze dell’ordine è stato il periodo fascista e post-fascista, ma anche lì il tutto lo si deve vedere come una degenerazione personale, guai a generalizzare e far di tutta l’erba un fascio! Non tutti sono stati per fortuna quei comandanti che forti della loro divisa e del loro grado andavano abusando del potere conferitogli.

Il nostro mistero legato ad uno dei tanti “omicidi di Stato”, ci porta nel lontano 1949, anni di cambiamento e se vogliamo di rinascita, di ricostruzione in senso lato, edile, spirituale, sociale, burocratica e amministrativa che si andava però a scontrare con zoccoli duri di chi per paura di perdere i propri pilastri interiori mal guardava i cambiamenti.

Quello è l’anno del “Piano Fanfani per la ricostruzione”, dei contestatissimi “Piano Marshall” e “Patto Atlantico” che verrà firmato proprio il giorno in cui si consumerà il nostro delitto, è l’anno che vede l’inizio dell’era Mattei (il presidente dell’Eni vittima di un alquanto strano incidente aereo), della tragedia di Superga (dove tra i 31 morti c’è l’intera squadra del “grande Torino”), dell’Apartheid, della scomunica ai comunisti, anche il Sant’Uffizio fa ostruzionismo alla stampa comunista, cosa che Berlinguer, e non solo, ignorerà, facendo informazione, di quest’anno anche la nascita del SIFAR (Servizio informazioni delle forze armate).

Il 22 Marzo di quell’anno a Mazara c’è anche uno sciopero dei lavoratori dove un manifestante perde la vita in seguito a scontri con le forze dell’ordine.

Zoomiamo sulla nostra piccola realtà, e vediamo come sono andati i fatti nello specifico, non per fare una deduzione sillogistica ma per testimoniare con una realtà a noi vicina cosa significava vivere quegli anni duri.

3 aprile 1949, Francesco La Rosa, con addosso una giornata di faticoso lavoro in campagna torna a casa dopo il tramonto dove trova la moglie intenta a preparare la cena, si seggono a tavola insieme ai figli per consumare il pasto, vengono disturbati da qualcuno che bussa alla porta, l’uomo apre e trova sull’uscio un carabiniere che gli annuncia che deve seguirlo in caserma perché il maresciallo gli vuole parlare.L’uomo esegue gli ordini ed entra nella caserma dei Carabinieri in via Castelvetrano, dove ad aspettarlo c’è il Maresciallo dell’epoca, Raffaele Fasano.

Il perché della convocazione trova la sua spiegazione qualche anno prima, nel 1945, quando La Rosa, all’epoca disoccupato, trovò lavoro con salario fisso a Salemi, presso un mulino, di proprietà del mugnaio Ferro.In quel tempo iniziarono a giungere al mugnaio parecchie lettere di estorsione, e in seguito gli venne sequestrato il figlio, tra gli indiziati dell’epoca ovviamente vennero inseriti i lavoratori e collaboratori, ma La Rosa venne rimesso in libertà dai carabinieri entro 24 ore dal sequestro, e continuò il suo lavoro al mulino per altri due anni. In seguito tornò a Mazara deve iniziò a fare il bracciante agricolo, onesto e laborioso era stimato e voluto bene da tutti.

Ma quell’accadimento del ’45 tornerà a tormentarlo, il maresciallo l’aveva convocato proprio per quel motivo, almeno da quanto si evince dalla velina redatta dall’ispettorato di P.S. Lunga quella notte tra le mura della caserma, che durò fino alle 3 circa quando dalla porta uscì Francesco, ma non sulle sue gambe, e non per tornare a casa, era avvolto in un telo sporco, e stava per essere portato al cimitero, nel silenzio e nel buio più tristi, non si attese nemmeno che il becchino gli costruisse una cassa.Né la moglie né i figli poterono vedere o piangere il parente, gli unici ad essere stati svegliati nel cuore della notte furono il Pretore e l’ufficiale sanitario perché c’era bisogno del verbale di morte, avvenuta secondo lo stesso, per paralisi cardiaca.

Anche un ingenuo trarrebbe la conclusione che il modus operandi si avvicina a quello di chi vuole nascondere una malefatta, di chi vuole celare ogni possibile prova che possa colpevolizzare chi non accetta che gli si punti il dito contro.

Immaginiamo la preoccupazione della moglie che riceverà la notizia della morte del marito solo il pomeriggio seguente alla convocazione, “Signora suo marito è al cimitero”. Come si può pretendere che chi commette atti del genere, non sia visto come traditore e indegno di fiducia, purtroppo quelli erano i periodi in cui l’altra mano la tendeva la malavita organizzata, che come conseguenza di questi fatti veniva vista sempre più portatrice di onore e rispetto verso i bravi lavoratori e padri di famiglia, guadagnandosi illimitata omertà.

A Mazara in quei giorni vi era una sola certezza, che Francesco La Rosa, fu strangolato nella camera di sicurezza del nucleo mobile dei carabinieri, il mistero resta sul il “chi” e il “perché”.Forse perché si cercava un colpevole per chiudere il caso? Chi faceva pressioni per fare giustizia a Mazara su un rapimento salemitano? A strangolarlo fu l’atto iracondo di un singolo militare o un interrogatorio finito male? Il maresciallo Fasano era presente e a conoscenza di questi barbari metodi?

In passato lo si sentiva nominare il maresciallo Fasano, vivo ancora tra i ricordi di chi aveva avuto a che fare con lui, chi vendeva il pane in caserma, chi la riforniva di altri beni, a volte magari si trovava ad essere testimone di racconti quasi horror, i metodi usati sembravano torture, e il nostro mistero non è a quanto pare il solo caso di gente che è passata a miglior vita durante e a causa del suo comando, il 19 dello stesso mese infatti un altro contadino uscì per andare dritto al cimitero, ma le cronache del tempo, forse per i motivi accennati prima, non sono facili da reperire.

Ma un’altra figura sembra non vedere nulla, forse davvero ignaro di ciò che succedeva nella caserma dell’allora più importante città di mare d’Italia, il Procuratore della Repubblica infatti si farà vivo solo dieci giorni dopo, per accertare la responsabilità dell’omicidio, forse perché i cittadini iniziano a chiedere provvedimenti, magari sta già germogliando in loro il seme dell’onestà annaffiato dalla liberazione dal fascismo.

Si fermerà poche ore per interrogare il maresciallo e i suoi militari, ma il 21 febbraio 1952, i quattro carabinieri accusati vengono prosciolti dalla sezione istruttoria del Tribunale di Palermo dall’accusa di omicidio preterintenzionale, solo uno di loro verrà rinviato a giudizio per abuso di mezzi di disciplina, sta di fatto che il maresciallo ritorna in servizio.Il 19 Dicembre del 1958 si sente parlare ancora dell’omicidio La Rosa ma stavolta al Senato, a parlarne è Umberto Terracini, senatore del PCI, che tramite un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia chiede sanzioni per i magistrati che insabbiarono il processo, che vide imputati i quatto carabinieri e un brigadiere, del maresciallo nemmeno l’ombra, il 13 Giugno del ’58 si era chiuso il processo, con una sentenza della Corte di Appello di Palermo che dichiara estinta l’azione penale per avvenuta prescrizione, forse la lentezza del procedimento era voluta?

Il sottosegretario Spallino risponderà a Terracini dichiarando che il Ministero in seguito ad un’inchiesta aveva ammonito il Presidente del Tribunale di Trapani, dott. Francesco Ceci e invitato il presidente di sezione del Tribunale, dott. Giovanni Colino, a scegliere una sede diversa dall’attuale o a chiedere il collocamento in aspettativa, il giudice dott. Carlo Malizia sarà invitato ad esercitare con maggior zelo le sue funzioni o a chiedere anche lui il collocamento in aspettativa.

Terracini soddisfatto di questa azione che potrebbe riportare un po’ di fiducia nelle istituzioni, chiede che la vedova La Rosa venga assunta alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia e che i figli vengano accolti in adeguati istituti, fa una puntata anche sul fatto che il Governo di maggioranza ha creato malcontento tra la Magistratura in seguito alla nuova legge sul Consiglio Superiore della Magistratura.Resta di fatto che il bilancio di quelle azioni perpetrate resta un mistero. La fiducia persa specie con atti voluti di tradimento, è molto difficile da riconquistare, il peggio è che la maggior parte delle volte atti deludenti gettano un velo d’ombra su azioni positive che come sappiamo risultano essere innumerevoli.

Lungi da noi voler gettare discredito sull’operato delle forze dell’ordine del tempo e più che mai di oggi, gli atti eroici dell’Arma sono sotto gli occhi di tutti, nonostante le innumerevoli difficoltà che ogni militare si trova ad affrontare, restano ligi al dovere, alla divisa e fedeli al Tricolore, e ciò si evince in casi come quello affrontato oggi in cui si trovano a dover agire sui loro fratelli d’armi.Il vero mistero è la natura dell’uomo qualsiasi sia la veste o il ruolo che ricopre. Le anime bianche splenderanno sempre sugli orrori di chi è indegno di guardarle.

Volendo testimoniare entrambe le facce della medaglia riportiamo qualche mini cronaca dell’epoca trovata sul web:Un agricoltore di Mazara del Vallo (Trapani), veniva " sequestrato ", per vendetta, da alcuni banditi. I carabinieri iniziavano subito una battuta per le campagne e riuscivano a trovare l'agricoltore, legato con catene di ferro alle mani e ai piedi, in fondo a una grotta. Le indagini portavano al fermo dei rapitori: due individui che venivano riconosciuti dalla loro vittima. (vedi foto n.3 Da "La Tribuna Illustrata" del 30 novembre 1952)19 luglio 1946. Nel suo primo discorso all’Assemblea costituente Finocchiaro Aprile denuncia "sevizie e torture" inflitte ai giovani indipendentisti dalle "polizie militari e civili dislocate in Sicilia"30 marzo 1948. Pantelleria le forze di polizia uccidono Antonio Valenza, Giuseppe Pavia e Michele Salerno.

27-28 ottobre 1948. Intervenendo alla Camera dei deputati sui casi di tortura in Italia, Piero Calamandrei afferma: "Ho voluto fare una specie di inchiesta privata e discreta fra gli avvocati e i magistrati...ho raccolto materiali impressionanti...Gli avvocati interpellati mi hanno risposto in via confidenziale, ma mi hanno fatto promettere di non dire pubblicamente i loro nomi perché essi sanno, nel rilevare quei metodi, precisassero dati e circostanze, verrebbero danneggiati i loro patrocini: li esporrebbero a rappresaglie e persecuzioni, forse a imputazioni di calunnia, perché di fronte alle loro affermazioni non si troverebbe il testimone disposto a confermare che quanto dice l’imputato è vero.

Accade così che il difensore, anche quando sa che il suo patrocinato è stato oggetto di vera e propria tortura per farlo confessare, lo esorta a sopportare, a tacere, a non rilevare in udienza quei tormenti ai quali, in mancanza di prove, i giudici non credono"

10 agosto 1950. A Gibellina (Provincia di Trapani), i carabinieri conducono nella caserma dove ha sede un distaccamento del Cfrb il contadino socialista Salvatore Garracci, che muore sotto le torture inflittegli nel corso dell’interrogatorio. Nonostante l’evidenza dei fatti, la versione ufficiale parla di decesso provocato da collasso cardiocircolatorio.

19 febbraio 1952. Intervenendo alla Camera dei deputati sui casi di tortura da parte della polizia in Italia, il ministro degli Interni Mario Scelba afferma: "E’ vero che i casi di sevizie sono veramente tali e tanti da potersi parlare di sistema o da legittimare l’accusa…che la polizia italiana è veramente borbonica? Devo negare… attraverso la documentazione dei fatti, che si tratti di sistema. Vi sono fatti deplorevoli, ma sono assolutamente eccezionali…Se noi vogliamo operare per stabilire su basi solide la democrazia in Italia, bisogna creare anche il costume che non consenta l’accusa ingiustificata…che non ammetta che, per scopo politico, si crei attorno alle forze di polizia un clima di sfiducia, un clima per il quale ogni delinquente si sentirà autorizzato a negare il proprio delitto".

Aprile 1982. Franco Fedeli, sul mensile "Nuova Polizia" di cui è direttore, nell’articolo intitolato "La tortura non paga", scrive: "Pensavamo che fossero del tutto passati i tempi in cui certi questori ora in pensione si rivolgevano ai propri uomini dicendo ‘Metti la radio a tutto volume e fai cantare quel tizio’ laddove il ‘tizio’ era un fermato o un arrestato che doveva essere sottoposto ad interrogatorio il quale, allora, si svolgeva senza la presenza del magistrato. Ci eravamo sbagliati evidentemente, dal momento che c’è qualche poliziotto o carabiniere che al termine di un interrogatorio di un indiziato, commenta con una punta di orgoglio: ‘L’abbiamo fatto pisciare sangue’…".

2 agosto 1985. A Palermo, sulla spiaggia di Sant’Erasmo, è trovato seminudo il cadavere di un uomo che sarà identificato, poche ore più tardi, come Salvatore Marino. L’uomo si era presentato spontaneamente in Questura, il giorno precedente, accompagnato dal proprio avvocato di fiducia dopo aver saputo che la polizia lo cercava per interrogarlo nell’ambito delle indagini sull’omicidio del commissario di Ps GiuseppeMontana. Trattenuto in Questura, il giovane viene interrogato nel corso della notte con il metodo della cassetta: sdraiato, con un tubo infilato in bocca attraverso il quale gli fanno bere acqua salata. Il tubo, però, sfonda la trachea e provoca la morte del torturato per insufficienza cardiaca. A quel punto, i poliziotti fanno scomparire i documenti del giovane e ne trasportano il corpo sulla spiaggia di Sant’Erasmo dove lo abbandonano nel tentativo di depistare le indagini.

3 novembre 2001. Ad Agrigento, don Baldassarre Meli dirigente di un centro di accoglienza, denuncia la "marchiatura" di 45 sudanesi clandestini, operato dalla polizia sulle braccia e le mani con la scrittura di un numero. "Capisco- afferma il sacerdote- che identificare i clandestini non è facile, ma questa vicenda dei numeri sulla pelle ci fa fare un salto indietro di mezzo secolo".

Francesco Mezzapelle

Rosa Maria Alfieri

09/08/2015

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