L’arch. Orazio La Monaca: “L’epidemia ci servirà come insegnamento”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Aprile 2020 09:00
L’arch. Orazio La Monaca: “L’epidemia ci servirà come insegnamento”

Se tutto va bene, questa epidemia potrebbe rivelarsi una svolta epocale. Uno spartiacque tra un Prima fatto di velocità, globalizzazione e bulimico progresso e un possibile Dopo su cui bisogna soffermarsi a pensare. Dando uno sguardo al passato, nei tempi che più comunemente vengono riconosciuti oscuri, vediamo nascere grandi capolavori. Basti pensare a Seneca, Petronio, Tacito nell’età dell’assolutismo imperiale romano, o alla nascita del neorealismo nel cinema italiano e poi della grande commedia all’Italiana nel periodo post seconda guerra mondiale.

Anche l’architettura nel grande giro di glorie e di infamie fatto di archistar, precariato e mancanza di sensibilità nei confronti dei nuovi problemi che la disciplina pone, necessita di un periodo di fermo, di pausa, per fare il punto sulla reale natura e i reali obiettivi di questo mestiere. Diviene una necessità riascoltare, in un periodo così buio come questo, le esigenze più primitive dell’uomo. Nutrirsi, curarsi, proteggere i propri cari e anche ricomporre il proprio spazio vitale.

Non mi soffermerò su quanto sia importante ritornare a ripensare agli spazi abitativi in virtù di ciò che ci lascerà questo virus, quanto piuttosto vorrei ridefinire, per quanto possibile, i contorni delle possibilità che l’architettura e tutte le discipline ad essa connesse, hanno di rispondere a questa emergenza. Cercando di comporre un quadro che possa essere utile a stimolare riflessioni sul tema, gli interventi sono tanti e spaziano dalla creazione da zero di strutture mediche, alla riconversione di manufatti in zone di immediato ricovero e accoglimento dei degenti fino alla risposta del design industriale alle numerose richieste di progettazione di strumenti come respiratori e mascherine in tempi brevi ed economici.

Per fare una veloce carrellata, mi sembra necessario evidenziare: 1) la cosiddetta miracolosa realizzazione in soli 10 giorni di un ospedale a Wuhan. In due settimane, per un periodo che va dal 25 gennaio fino al 2 Febbraio, viene costruito grazie a moduli prefabbricati, un ospedale in grado di accogliere 1.400 medici militari, in funzione già dal 3 Febbraio.

Sono diventati virali i video in time lampse della miriade di ruspe impegnate negli scavi nella fase pre cantiere. Lasciando per un minuto da parte un’analisi tecnico qualitativa dell’opera finita, è qui che tocchiamo con mano l’operosità e l’alterità rispetto alla nostra cultura del popolo cinese: era necessario un ospedale, viene realizzato senza molti inghippi politico-burocratici. Nonostante ciò, lasciando da parte i modelli e i contesti culturali, anche l’Italia ha dato prova di spirito pratico con la costruzione in 17 giorni dell’ospedale Portello Fiera a Milano, grazie ad un’unione di forze di graduale entità.

2) Sull’idea di progettare moduli unicellulari in grado di supportare letti per terapia intensiva, si segnala il sistema C.U.R.A. (Connected Units for respiratory Aliments), un progetto sottoscritto da vari studi tra cui Carlo Ratti e Italo Rota. Il concept base del progetto è il container industriale, riorganizzato per ospitare due letti con rispettivi respiratori, in grado di moltiplicare in tempi più o meno brevi i posti letto disponibili, considerando che la media Italiana di posti letto in ospedale consta di 3 per ogni 1000 abitanti, a fronte dei 5 della media europea.

3) I casi di riconversione più importanti riguardano grossi organismi costruttivi, in cui ovviamente, a causa dei tempi dettati dall’emergenza, non si è badato nell’immediato ad una visione architettonica dello spazio, quanto più all’immediata immissione di strumentazione idonea al ricovero d’urgenza. Edifici come hotel o un mezzo particolare come una nave (il traghetto Splendid di Grandi Navi Veloci a Genova) possiedono nel dna del progetto la capacità di accogliere una massa, mettendo a disposizione il pacchetto di prima necessità composto da letto, bagno e quel minimo di spazio essenziale all’assistenza medica.

Potrebbe rivelarsi utile riflettere a monte del problema, su ciò che è stato fatto prima dell’epidemia. Osservare questi esempi di riconversione può aiutarci a spostare lo sguardo sulle lacune lasciate fuori dagli investimenti privati e nazionali su di una rete capillare e funzionale di presidio, prevenzione e assistenza sul territorio, dato che da anni anche per quanto riguarda l’ambito medico vediamo sorgere una lunga trafila di strutture “d’eccellenza” focalizzate su patologie rare e circoscritte, in cui l’utilizzo di personale altamente specializzato e tecnologie di un certo costo alimentano vari business ristretti.

4) Sulla piccola scala, la stampa 3d si è rivelata foriera di nuove idee e innovazioni. Christian Fracassi, 36enne ingegnere, è riuscito a decodificare una versione stampata in 3D del componente tradizionale dei respiratori, già in uso (con successo) all’ospedale di Chiari, nel Bresciano. Da lì, l’idea di riutilizzare la famosa maschera da snorkeling della Decathlon come respiratore, integrandola con la valvola necessaria all’emergenza respiratoria. In Cina è stato studiato un braccio meccanico in grado di permettere al personale medico di operare, tenendo conto delle distanze di sicurezza.

Il famoso metro di distanza da persona a persona potrebbe offrire l’ennesimo spunto di riflessione a coloro che lavorano con il dimensionamento degli spazi, mettendo a fuoco le discordanze che nascono dalla necessità di lavorare in un determinato luogo con le effettive possibilità fisiche di lavorare in esso, legate a parametri di cui bisogna inevitabilmente tenere conto come l’igiene, l’efficienza, la manutenzione e la sostenibilità di certe scelte progettuali. Per concludere, una pandemia del genere deve essere vissuta all’insegna della riflessione su certi temi e sulle concrete possibilità di lavoro su di essi, considerando l’uscita da questa emergenza come una rinascita, un’opportunità essenziale per riplasmare le finalità di un mestiere come quello dell’architetto, dell’ingegnere o del designer.

Mi piace pensare, in grande e forse un po' fuori dal principio di una realtà fatta di soldi e dati, allo spostamento del nostro orizzonte d’attenzione dalla superficie delle architetture firmate e ai progetti fatti per vendere l’ennesimo marchingegno da like e following, ad un’architettura “perennemente” emergenziale, un’architettura che ritorni a sentirsi investita di un ruolo sociale, nei confronti dell’uomo e delle sue esigenze. Gli strumenti di cui dispone la disciplina, se osservata con un certo criterio e etica di senso, ovviamente non si limitano semplicemente alla trasformazione geometrica e tecnologica dello spazio fruibile, ma integrano questo aspetto con la componente umana ed emozionale di chi “consuma” la realtà e lo spazio.

Unire la funzione primitiva, che sia nutrirsi, curarsi, proteggersi come risposta ad una necessità naturale, alla possibilità di godere in maniera intima ed emozionale dello spazio in cui questo processo avviene, potrebbe ricondurci al vero potere dell’architetto. In questo orizzonte di senso, mi auspico un’architettura perennemente d’emergenza, che cambi il proprio modo di leggere e guardare la realtà di tutti i giorni con un occhio diverso, più consapevole di ciò che è essenziale e di un’organizzazione comunitaria necessaria alla sua realizzazione.

  Studio di progettazione Arch. Orazio La Monaca

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