Secondo appuntamento con la nostra nuova rubrica, in collaborazione con la “Casa del Pescatore”, dedicata alla pesca di Mazara del Vallo ed in particolare alla sua memoria storica attraverso il racconto di vecchi pescatori (e non solo), episodi curiosi, aneddoti etc. Incontriamo Michele Giacalone “Tarantino”, 86 anni, decisamente ben portati ma evidenti, attraverso le mani ed il volto, le fatiche di una vita. Chiediamo subito il perché lo chiamassero “Tarantino” ed egli risponde: “eravamo sette fratelli e tutti abbiamo fatto il militare in Marina, a Taranto”.
Così l’anziano ex pescatore inizia il suo racconto: “ero il più piccolo dei sette, sono rimasto soltanto io. Mi ricordo quando da bambino mio padre, Giuseppe Giacalone, mi portava a pescare con la nostra barca a vela (quando non c’era vento utilizzavamo i remi), la “Giuseppe”, che era dotata di una rete da 300 passi. Andavamo a pescare fino al Biscione, in una zona di mare a 5/6 miglia dalla terraferma. Quando finivamo di pescare tiravamo a bordo la rete a mano, vi era una corrente di circa 4 miglia all’ora.
Prendevamo: aragoste, cipolle, triglie, saraghi, insomma pesci pregiati. Ormeggiavamo e li portavamo dentro un grosso ‘panaro’ nella piazzetta di Petrosino; li scambiavamo con altri prodotti da portare a casa: vino, fichi secchi, pane, olive etc. Quando finivamo tornavamo alla nostra barca e sulla riva accendevamo il fuoco e preparavamo una zuppa di pesce dentro una ‘pignata di crita’. Quando la zuppa era pronta la mangiavamo dalla stessa pignata, mio padre utilizzava un sassola di legno, io che ero il più piccolo prendevo il pesce con una pala di fico d’india ‘copputa’.
In porto, a Mazara, mio padre ci faceva dormire a turno in barca per fare la guardia qualora qualcuno volesse rubare la stessa o anche le attrezzature da pesca; questo succedeva anche d’inverno, allora montavamo una grossa tenda per difenderci dal freddo”.
Michele “Tarantino” (in foto copertina) continua il suo racconto degli anni successivi al secondo dopoguerra: “dopo il militare, mi sono imbarcato sul peschereccio “Borgea” dell’armatore Brandini di Lampedusa. Siamo andati a pescare fino in sudamerica, fra il Brasile e l’Uruguay, un mese e mezzo di navigazione per arrivare fin là, altro che Cristoforo Colombo! (dice scherzando). Alla fine abbiamo pescato solo pochi giorni in quanto ci hanno sequestrato dicendoci le nostre reti non erano adeguate.
Venimmo anche sequestrati dai guerriglieri rivoluzionari ‘tupamaros’; allora la situazione in sudamerica era davvero pericolosa, vi erano dittature sanguinarie. Fummo comunque rilasciati dopo pochi giorni. Nel porto di Montevideo a causa di una tempesta il “Borgea” è affondato dopo aver rotto gli ormeggi. Grazie all’Ambasciata Italiana siamo riusciti a tornare in patria. Ho continuato ad andare in mare a bordo di mercantili. Poi ho deciso di costruire un peschereccio per la piccola pesca, il “San Giuseppe”, successivamente il “Gesù protettore”, con questa barca ho continuato a lavorare fino al raggiungimento dell’età per andare in pensione”.
Francesco Mezzapelle