“Una punta di Sal”. Riflesso dello scandalo. Azzoppata la Commissione Antimafia
L’eco della maxi-inchiesta su appalti e sanità che sta scuotendo i vertici della politica siciliana produce la sua prima, pesante, vittima istituzionale di cui nessuno ne parla. La Commissione regionale antimafia, l’organo parlamentare preposto al monitoraggio e al contrasto dell’infiltrazione mafiosa nelle istituzioni, presieduta da Antonello Cracolici, è di fatto azzoppata. Una serie di dimissioni eccellenti, legate a richieste di arresto e indagini in corso, ha ridotto drasticamente il numero dei suoi componenti, svuotandone la capacità operativa e, soprattutto, la credibilità.
L’ultimo a fare un passo indietro, in ordine di tempo, è stato Carmelo Pace, esponente della Democrazia Cristiana. Sul suo capo pende una richiesta di arresto nell’ambito della stessa inchiesta che ha travolto l’ex governatore Totò Cuffaro. La sua rinuncia si aggiunge a una lista già significativa: prima di lui avevano lasciato l’organismo anche Castiglione, Gennuso, Geraci per varie ragioni e La Vardera, vice presidente della Commissione, che si era dimesso. Questi gli attuali altri componenti: Giovanni Burtone (Pd), Roberta Schillaci (M5S), Michele Mancuso (Forza Italia), Marianna Caronia (Lega), Fabio Venezia (Pd), Jose Marano (M5S), Marco Intravaia (FdI).
Il risultato è un colpo durissimo alla funzionalità della commissione. Partita a inizio legislatura con tredici membri, ora ne conta soltanto otto, compreso Cracolici. Un numero che rende difficile non solo il proseguimento dei lavori, ma anche la semplice gestione delle attività ordinarie, gettando un’ombra sull’efficacia dell’organo simbolo della lotta alla mafia in Sicilia. A lanciare l’allarme è lo stesso presidente della commissione, Antonello Cracolici del Pd, che non usa mezzi termini per descrivere la gravità della situazione.
“Gli arresti e l’ultimo terremoto politico offuscano il lavoro fatto”, ha dichiarato, esprimendo il timore concreto che possano emergere ulteriori scandali. “Temo che ce ne saranno altri in futuro”, ha aggiunto. Le parole di Cracolici (in foto da noi scattata lo scorso marzo nel corso di un'intervista durante il corteo contro le mafie organizzato da Libera) si trasformano poi in un appello accorato alla classe dirigente dell’isola.
“Tutto ciò ci obbliga a prendere atto che occorre una svolta in Sicilia” -ha sottolineato il Presidente- non un semplice rimpasto politico, ma una “svolta morale” che deve coinvolgere in primis gli esponenti politici, chiamati a “essere da esempio e non piegati agli interessi di pochi e agli interessi clientelari”. La percezione che la Sicilia stia scivolando da tempo nel malaffare politico è una questione complessa e dibattuta, che affonda le radici in un contesto storico e sociale in cui corruzione e clientelismo sono stati problemi persistenti.
Questa problematica non è esclusiva della Sicilia, ma la percezione in Sicilia è spesso amplificata dal peso delle storie di mafia, malaffare e scandali politici che si sono verificati nel corso del tempo. Eventi storici hanno lasciato un segno profondo, contribuendo a creare una percezione di persistenza del problema. Le pratiche di corruzione e clientelismo sono considerate un problema radicato nel tessuto sociale ed economico italiano, e in particolare in Sicilia, dove possono alimentare fenomeni di criminalità organizzata e inquinare le istituzioni.
La percezione di corruzione è alimentata anche da casi specifici e da una copertura mediatica che ha dato risalto a scandali e inchieste giudiziarie, creando un'immagine negativa e persistente. Le istituzioni siciliane devono affrontare le sfide di un sistema economico fragile, la disoccupazione e la necessità di attrarre investimenti, tutte condizioni che possono rendere più difficile la lotta contro il malaffare. Ma la scena è sempre la stessa. La Regione si trasforma in un grande ufficio di collocamento e di spartizione di appalti mentre i siciliani non chiedono risoluzioni di facciata ma chiedono atti pubblici, immediati, irreversibili.
Non basta ridipingere il palazzo. Bisogna cambiare chi lo abita, certo, ma soprattutto bisogna cambiare come lo si concepisce: da luogo di spartizione a luogo di servizio. Immaginate (sognare non costa nulla) piazze piene non di slogan, ma di libri e bilanci. Festival civici dove si leggono le delibere pubbliche, dove si spiegano i criteri di assunzione e si confrontano i curricula. Immaginate scuole di cittadinanza che insegnano a leggere un contratto pubblico e a denunciare il conflitto d’interessi.
Immaginate assemblee locali che producono verbali vincolanti e che chiedono la testa di chi ha trasformato la pubblica amministrazione in un ufficio di proselitismo. Questa è la “rivolta” che si devono intestare i siciliani, cominciare ad accelerare una economia a rilento che ha bisogno di essere spinta da politici che hanno l’obbligo di renderne un servizio ai cittadini e non vantarsi con il dire “questo l’ho fatto io, …se non ci fossi stato io…” etc.
Ed infine oggi si sentono tante voci…dopo gli scandali. Chi oggi dice di “non sapere”, di “è doloroso”, di “dobbiamo fare autocritica”, deve dimostrare che l’autocritica non è uno specchietto per le allodole. Nulla del “sogno” è utopia. È civiltà amministrativa. È rispetto per chi paga le tasse e si vede sottrarre diritti e servizi in favore di clientele.
Salvatore Giacalone