“Una punta di Sal”. La fuga e la speranza. Mediterraneo impietoso…Ennesima tragedia in mare

Redazione Prima Pagina Mazara

Un altro naufragio, nel mare di Lampedusa. La notizia è di qualche giorno fa. Almeno 27 morti, tra cui una bambina di un anno e tre adolescenti, e diversi dispersi. E’ il bilancio provvisorio del naufragio che ha coinvolto due imbarcazioni a 14 miglia da Lampedusa, in area Sar (ricerca e soccorso in mare) italiana. I superstiti del naufragio, sarebbero stati 60 (40 ricoverati in ospedale per alcune fratture non gravi). Sui due barconi, secondo il racconto di chi ce l’ha fatta, ci sarebbero stati circa tra i 90 e i 100 profughi.

All’appello mancherebbero dunque tra le 20 e le 40 persone. La Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per naufragio colposo. Ancora morti, quindi, nel mare di Lampedusa. Ma non è forse anche questa una guerra maledetta che semina morte e che fino a ora, secondo l’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha prodotto circa 26mila morti negli ultimi dieci anni nel grande cimitero del Mediterraneo? Di chi è la responsabilità? Chi ha scatenato questa barbarie, se non l’indifferenza e i veti giunti al punto da limitare gli interventi di soccorso in mare delle ONG dettando regole contro ogni principio elementare di aiuto umanitario? “Bisogna fermare le partenze” dicono fonti governative.

Chiunque abbia fatto questa affermazione in occasione dell’ennesima tragedia consumatasi nel grande cimitero del Mediterraneo, che sia uomo o donna delle istituzioni, che sia un cittadino qualunque che abbia la fortuna di abitare da quest’altra parte del mondo, è sicuramente o in mala fede o afflitto dall’ignoranza perché ignora o fa finta di ignorare la grande tragedia. Immaginate solo per un attimo, chiudendo gli occhi, di vivere dove dominano guerre, massacri, fame e ogni forma di tortura.

Ci fosse anche una sola possibilità di speranza di portare in salvo i vostri figli, seppur con viaggi a rischio organizzati da uomini senza scrupolo, che cosa fareste? Troppo comodo giudicare a pancia piena o magari dietro una tastiera facendo distinguo, inventando ogni tipo di falsità. Troppo comodo giudicare dal pulpito istituzionale o nelle proprie case riscaldate d’inverno e mitigate d’estate con i climatizzatori, ipocritamente fingendo pietà ma sempre pronti a vomitare frasi senza alcun senso o lontane da ogni realtà.

La guerra è alla base di quelle fughe da luoghi che mai alcuno vorrebbe lasciare ma che la speranza di continuare a vivere induce ad abbandonare, a tentare con ogni mezzo aggrappandosi alla vita, cedendo anche ai ricatti. Una guerra infame per certi aspetti peggiore di quelle combattute sul campo dove la disperazione non conosce ostacoli. Inutile nascondersi dietro scafisti senza scrupoli e poi minacciare nei fatti organizzazioni che, piaccia o meno, salvano vite contrariamente a quanti hanno un carico di responsabilità istituzionale.

Fermiamo le guerre è il grido di chi è contro la violenza e per il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione. «Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra perché la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» così il mai dimenticato Gino Strada che ha dedicato tutta la sua vita assieme ai suoi collaboratori di Emergency a chi subisce l’orrore dei conflitti. «Il disarmo non è una utopia» ha più volte gridato Papa Francesco ma la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto da dover mettere in secondo piano le priorità reali dell’umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani ma fabbricare armi è finanza, economia ed allora come fermare le guerre? (fin copertina foto di archivio)

Salvatore Giacalone