Ultime della sera. CORONAVIRUS
Non so bene perché, ancora non ho scritto un articolo su quanto sta accadendo nel mondo, più o meno dall’inizio di questo nuovo anno, il 2020. Anno bisestile che conclude il primo ventennio del terzo millennio, credo che tutti quelli a cui piace scrivere e soprattutto trovano consolazione nel farlo, abbiano scritto del CORONAVIRUS, parola che è entrata velocemente nel vocabolario di tutti noi e che sta diventando così familiare come la prima parola che insegniamo ai bambini “MAMMA”.
Forse ho fatto qualche accenno in qualche post su Facebook che ogni mattina pubblico puntualmente, ma nulla di più, i miei amici di penna che scrivono nella rubrica “Le ultime della sera” di Prima Pagina Mazara praticamente da qualche settimana scrivono solo di questo, e stanotte spinto anche da un bell’articolo che ho letto tutto d’un fiato postato dal mio amico Johnny Dotti su un gruppo whatsapp, l’articolo dal titolo “virus, spillover, ecologia, politica” di Costanza Jesurum, nota psicanalista junghiana, pubblicato nel suo blog Bei Zauberei, ho trovato lo stimolo per scrivere anch’io del CORONAVIRUS.
L’articolo che ho letto è molto lungo e non posso riportarlo integralmente, (chi vuole può leggerlo direttamente nel blog) ma riporterò alcuni estratti per alimentare una riflessione su quella che l’OMS ha definito Pandemia e che in quanto tale sta coinvolgendo gran parte del pianeta. In questi giorni, stiamo tutti combattendo con una esperienza nuova, che ci fa confrontare con qualcosa di ignoto che non è solo il virus Covid-19, in se – quello che fa, come è in grado di mutare, se ci farà ammalare e quanto, ma anche con la gestione pubblica di questo fenomeno, l’epidemia di un virus con grandi capacità di contagio, gestione che implica delle decisioni per noi stranianti e incredibili – figli a casa per due settimane, molti luoghi di lavoro chiusi – e siccome tutto questo poi si riverbera anche su centri, decisioni e attività anche di soggetti non inclusi in quei provvedimenti, eccoci che ci troviamo a subire anche il turismo in crisi, settori produttivi che si fermano, una contrazione del lavoro che è gravemente incisiva.
Siamo spaventati, molti vanno incontro a problemi importanti – e per quanto mi è dato capire, questa situazione potrebbe durare ancora: io non credo che bastino due settimane di controllo delle attività per arginare il peggio. Sarà necessario fermare tutto per ancora del tempo. E’ veramente una prova difficile, materialmente e psicologicamente per tutti noi. Una cosa che si può cercare di fare, per sopportare meglio tutti questi eventi è informarsi, e ragionare. Leggere, cercare di capire per bene – per esempio la matematica esponenziale dei contagi, i modelli matematici che stanno dietro all’interpretazione delle epidemie – è un’operazione che ha psicologicamente un significato forte, perché ci fa smettere un po’ di essere figli di un genitore – Stato che ci impone regole insensate, ma ci fa trasformare in soggetti consapevoli che possono abitare quelle regole e in caso accettarle – come fanno i figli meno patologici in regime di emergenza – compartecipando al gruppo sociale.
Perché un’epidemia, è un regime di emergenza. Per questo ora io vorrei parlare del bellissimo libro di David Quammen Spillover (Adelphi 2014. Tra.it L.Civalleri) e vorrei condividere l’esperienza di una lettura che è una storia delle scoperte dei biologi in merito a virus e pandemie, che mi ha procurato una serie di importanti agnizioni politiche, un libro cioè che ha la curiosa caratteristica di essere un piacevole excursus sui virus, su come funzionano, e sugli strumenti che scientificamente si utilizzano per decodificarli, ma che ti lascia dentro un pensiero invece politico sullo stare al mondo, su come il non sapere ci renda strumenti di ideologie altrui, su farsi comunità, sull’abitare la terra con gli altri animali.
Il volume – con una nobile bibliografia e 560 pagine di vicende e acquisizioni, non è certo sintetizzabile in un post – ma qui metterò in osservanza ai 4 punti di sopra, le cose che mi hanno colpita. Mi dispiace per lo spoiler e per l’elevato grado di approssimazione. La prima cosa che ho imparato da questo libro, è la relazione tra emergere dei virus e disturbo dell’ecosistema. Ho capito che molti virus sono zoonosi, ossia patologie che provengono dal regno animale, e che hanno fatto uno spillover cioè sono passati da una specie animale a un’altra, in particolare la nostra.
Questo sbarco nell’umano è dovuto a due questioni: la prima riguarda la variazione degli ecosistemi, la seconda l’aumento degli esseri umani. (…) La seconda cosa che ho imparato, riguarda la lunga storia che c’è dietro l’esplosione di un virus importante, e quanto l’ignorare quella storia ci renda manipolabili da ideologie culturali. E’ esemplare in questo senso la storia dell’AIDS, e di come si sia scoperta la lunga strada che ha fatto prima di diventare la pandemia terribile che ancora è in corso.
(…) Allo stesso tempo è il capitale, e le sue esigenze, a generare nuove occasioni di vulnerabilità al virus, come per esempio, terza cosa che mi ha spiegato per bene questo il libro, l’esigenza del capitale di togliere animali da un contesto e metterli in un altro che non gli appartiene affatto. Diverse nostre gravi epidemie hanno a che fare con questa usanza del capitale: perché la mucca dove non abitava, il cavallo che non ha mai avuto a che fare con le interazioni di un certo ecosistema, una volta trasportati in contesti molto lontani che non li hanno mai ospitati – come è successo in Australia, diventano territori vergini per i virus, candidati elettivi per colonizzazioni virali che li possono far ammalare, e far diventare cinghie di trasmissione per le epidemie che ci riguardano.
Ora ci troviamo davanti a una nuova epidemia, una esperienza che ci pare nuova e il cui impatto ci riesce difficile da capire, perché ha un tasso di mortalità relativamente basso, per cui ci viene da dire che forse le misure contenitive sono ingiuste ed esagerate, dal momento che alla fine ci sembra che i sacrifici superino i benefici.(…) Tuttavia un’altra cosa che ho capito è che c’è questa strana relazione di proporzionalità inversa tra contagiosità e letalità di un virus: più un virus è cattivo meno persone contagia, in base al principio piuttosto cinico per cui il virus cattivo mette le persone nelle condizioni di non poter andare in giro a seminar disgrazia, mentre quello più blando in compenso infetta molte più persone anche se miete meno vittime per numero di contagiati.
(…) Tutte queste cose le scrivo, non tanto o non solo per reggere meglio un momento difficile per me, ma anche per riflettere su cosa fare politicamente di questo momento difficile. Fino a poco fa eravamo tutti presi da Greta Thurnberg e da quello che è riuscita a insegnarci in merito all’inquinamento, ai rischi per il pianeta, mettendoci in un certo senso anche in una prospettiva transnazionale, per cui abbiamo un problema grave sul groppone come soggetti appartenenti a diverse nazioni, che condividono un rischio collettivo, per cui tutti abbiamo cominciato a porci l’interrogativo di un comportamento più responsabile e anche possibilmente un consumo più responsabile.
Con i virus ci troviamo a una conferma che viene da un altro contesto della necessità di una prospettiva ecologica come prospettiva politica. Perché anche le nostre epidemie, che a questo punto si paventano come più frequenti, sono un altro sgradevole esito della crisi ecologica, del nostro modo di stare al mondo. E forse, dobbiamo come possiamo cominciare a pensare a questa cosa dell’ecologia come un problema politico. Infine dobbiamo ripensare a delle questioni che riguardano la cosa pubblica.
Il corona virus è una complicata prova generale, di fronte a sfide che si riproporranno: perché siamo tanti, siamo diversi, per il momento la tendenza procede verso l’autolesionismo globale, forse anche noi siamo bruchi programmati a erodere l’erodibile, e quindi c’è anche un pensiero da fare sull’arginare le conseguenze di questo nostro problematico stare al mondo. Rispetto ai bruchi, noi abbiamo una consistente capacità di variare e programmare i nostri comportamenti, non solo come soggetti singoli ma anche come soggetti collettivi.
La nostra corteccia frontale è la ragione del nostro successo perché ci permette un calcolo strategico delle conseguenze, un cambio di rotta dei nostri comportamenti, dei progetti molto stratificati per proteggerci come gruppi. Siamo stati convinti e con diverse ragioni, che la mano invisibile che ci ha portato al progresso, fosse la nostra intelligenza individuale. La competizione, l’interesse personale, il desiderio di avere di più. Mi sembra allora che l’occasione di questo contagio – molto pericoloso e cattivo ma forse meno di altri che potrebbero arrivare – nelle complicate prove che ci mette davanti, ci offra pure l’occasione di rivalutare la nostra capacità di azione collettiva, di azione mirata al gruppo, sia in una prospettiva vasta – il pianeta, il mondo, le specie, la sostenibilità, che in una prospettiva ristretta, lo Stato, le strutture sanitarie, le tutele per i cittadini.
Se un articolo serve a stimolare la riflessione credo che queste quattro parole “VIRUS” - “SPILLOVER” - “ECOLOGIA” - “POLITICA” possano bastare per la riflessione approfondita di questa settimana. Francesco Sciacchitano