J’accuse...! Lettera a Mazara

Redazione Prima Pagina Mazara

Qualche settimana fa è uscito su questo giornale, per la rubrica periodica “In punta di Sal”, un pezzo dal titolo “Giovani: biglietto di andata senza ritorno...”. Salvatore Giacalone, che - bisogna dirlo da subito - è mio nonno, inquadra in pochi paragrafi uno dei maggiori drammi dell’attualità italiana: l’altissimo tasso di emigrazione giovanile fra i giovani con i più alti livelli di istruzione. Chi scrive è uno di quelli che se n’è andato e sa già di non poter più tornare. In questo breve pezzo, per così dire di risposta, vorrei riprendere diversi degli spunti nell’articolo sopracitato e rielaborarli in una chiave più meditativa, così che - sperabilmente - da questa emorragia si possa imparare qualcosa.

Una breve rassegna dei numeri parla relativamente chiaro:

– Negli ultimi 10anni l’Italia ha una perdita netta di oltre 100mila giovani laureati [1, pagina 4].

– Negli ultimi 10 anni il Sud (e le Isole) hanno visto una perdita netta di oltre 500mila residenti in favore del Centro-Nord [1, pagina 8]. Una flessione di circa il 3% della popolazione.

– Nel 2019 il 53% di questi trasferimenti in uscita è nella fascia 18-35 anni. Il 41% di questi ha una laurea [1, pagina 8].

C’è un trend nazionale, noto alle testate giornalistiche sotto il nome di fuga dei cervelli, piuttosto netto che vede molte delle giovani eccellenze italiane lasciare il paese. C’è un trend regionale forse ancor più marcato che mostra come i giovani stiano lasciando il Sud per trasferirsi al Nord.

E’ molto difficile imputare qualcuno o qualcosa di questi macrofenomeni sociali, e le responsabilità del singolo sono così diluite da potersi serenamente classificare come omeopatiche. Ciononostante, bisogna saper contestualizzare una altrimenti semplicistica reductio ad Zeitgeist. Detto, forse brutalmente, se non ci si vuole abbandonare ad un malinconico canto nostalgico è centrale individuare quelle poche responsabilità della comunità sulle quali è ancora possibile agire, ed usare quelle come auspicabile leva sulla quale costruire una etica sociale meno tossica e più edificante.

Certamente non si può imputare Mazara, o il sud Italia, per le sfortune nazionali in termini di emigrazione dei giovani laureati (se non al terzo o al quart’ordine). Il fenomeno andrebbe collocato su un piano internazionale, e letto in una chiave completamente europea (se non geopolitica). Da un punto di vista assolutamente endogeno, i problemi di carattere nazionale sono molti: un mercato del lavoro irrigidito da una classe sindacale anacronistica e tronfia, un mancato passaggio di testimone nella leadership del paese, uno squilibrio demografico che trasforma la pensione in un vero e proprio italian dream. Non ci avventuriamo neppure in una rassegna dei fattori esogeni, che renderebbero l’analisi troppo complessa. Volendo lanciare un adagio politico, il punto di vista della mia generazione sul tema nazionale si può cristallizzare in il patto intergenerazionale è stato disatteso, financo tradito.

Ora, quelli sopra elencati sono tutti problemi di carattere non regionale, ed è perciò difficile, da un punto di vista pratico, richiedere che le piccole realtà di provincia se ne facciano carico. Sebbene sia centrale richiedere a gran voce che questi problemi vengano presi seriamente, bisogna anche riconoscere quali sono le competenze dei singoli enti. Eppure, come ho sopraelencato, ci sono alcune responsabilità regionali importanti, di cui è centrale essere testimoni per sollevare un mai così necessario dibattito culturale. Il travaso demografico, soprattutto di individui altamente qualificati, interno al paese, e più precisamente da sud verso nord, indica una differenza di potenziale apparentemente inesauribile e de facto crescente. Quali sono le responsabilità culturali ed economiche del Sud (e specificatamente del Sud) in questo senso?

Da un punto di vista storico la faccenda è incredibilmente complessa, non c’è modo che io la possa analizzare qui, ma invito tutti a resistere all’ormai più che retorico, trito e ritrito “il nord ci ha rubato le nostre ricchezze”, “l’unità d’Italia ci ha impoveriti”, “sotto ai Borboni stavamo bene”, poiché questa è una analisi incredibilmente superficiale. Il sud Borbonico era un sud feudale, suddito, ed è proprio da questo humus culturale rurale ed abbandonato che sono emerse le storture comportamentali del Sud che conosciamo. Bisogna dunque cominciare un processo di autoanalisi molto critico, che guardi la bestia allo specchio e riconosca le responsabilità storiche con lo scopo di medicare le ferite autoinflitte nei secoli.

Da dove ricominciare dunque? Cosa può fare concretamente Mazara? L’articolo di Sal ci lascia sospesi, ed il contesto fornito da questo articolo sembra raccontare una storia simile: poiché il fenomeno è già di carattere nazionale poiché il patto generazionale è sbilanciato in una forma di gerontocrazia che de facto accentra le decisioni nelle coorti meno istruite e meno attive nella cosa pubblica, poiché il sud è restio a riconoscere onestamente le proprie responsabilità storiche e prendere decisioni concrete in merito, non rimane che assistere allo spettacolo della storia, mentre fa il suo corso, mentre arrota la falce.

Eppur si muove. Certo, Mazara non può pensare così, come ogni forma di vita è una ginestra. Nella piena coscienza della criticità della propria situazione, deve rimboccarsi le maniche e costruire una propria epica identitaria, oggi si direbbe brand identity, che le permetta se non altro di sognare una uscita dal pantano della storia in cui s’è cacciata.

Ci sono moltissime cose che è possibile fare, ma forse la più importante, almeno dal punto di vista di un giovane che se n’è andato riguarda l’umiltà, il passaggio di testimone, ed i giovani.

Sarà anche vero che Mazara piange la dipartita dei propri giovani più qualificati, che questi sono imprenditori di successo, persone realizzare altrove ma cosa fa attivamente per ascoltarli, per imparare da loro? Questi giovani tornano regolarmente in Sicilia, per incontrare le loro famiglie, perché la città non organizza degli eventi in cui questi giovani possano salire su un palco a raccontare la loro storia, a ispirare chi è rimasto a Mazara? Perché le scuole non organizzano delle giornate di incontro periodiche e stabili per imparare da questi giovani? Forse i mazaresi non credono davvero che questi giovani sappiano qualcosa in più di loro, forse non vogliono imparare, forse davvero si sono abbandonati ad una lenta moria.

Ivan Di Liberti, Ricercatore dell’Accademia delle Scienze di Praga

[1] Report Istat Iscrizioni 2021: Cancellazioni Anagrafiche della popolazione Residente, dati del 2019 https://www.istat.it/it/files/ 2021/01/REPORT_MIGRAZIONI_2019.pdf