“Una punta di Sal”. La sete del potere…

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
17 Gennaio 2021 10:01
“Una punta di Sal”. La sete del potere…

La sete del potere non conosce limiti. Non è il film in bianco e nero del 1954 di Robert Wise con uno straordinario William Holden (titolo originale della pellicola "Executive Suite", vedi foto copertina) ma quello dei nostri anni dove non  ci sono più scrupoli e si baratta di tutto, si fanno anche carte false pur di raggiungere l’obiettivo. In politica si registrano continue “scalate”, triturando persone, storie, amicizie, pur di raggiungere, spesso, loschi affari. A volte, e la cronaca sgrana, quotidianamente, il rosario di misfatti, hanno il fiuto dell’affare sporco: dove c’è un flusso di denaro pubblico, lì si avventano per deviarne a proprio tornaconto il corso.

È un furto, ma speciale. Sono ladri, ma diversi. Della serie “ladro ma onesto”. Riescono infatti a camuffare il ladrocinio, al punto da passare per persone dabbene e farsi anche riverire. Non c’è da scassinare niente, non c’è da estorcere un capello, non c’è da armare alcuna mano. Tutto si consuma in una reciprocità perversa tra corruzione e concussione, che mette in relazione di malaffare affaristi e faccendieri da una parte, pubblici ufficiali e politici dissennati dall’altra.

Relazione di convenienza e illecito profitto per gli uni e per gli altri. Nella corruzione sono i primi a pervertire i secondi: ad ammaliare e indurre – con tangenti, bustarelle, mazzette – amministratori e politici a decretare e stornare a loro vantaggio ordinanze, risorse e beni pubblici. Nella concussione sono i secondi a pervertire i primi: ad abusare del loro potere, elargendo favori e beni pubblici a trafficanti e profittatori, in cambio di denaro e altre utilità. Corruzione e concussione si interfacciano e si fondono in una spirale avida e scellerata di mutua convenienza.

Corruttori e concussori si calamitano a vicenda: gli uni sono funzionali agli altri, perché fonte d’interessi gli uni per gli altri. Entrambi dominati da sete di guadagno, in un vortice ingordo e coattivo di denaro e potere, che domanda nuovo denaro, nuovo potere. Con aria d’arroganza e di sfida: la corruzione – osserva Papa Francesco – «si esprime in un’atmosfera di  trionfalismo, perché il corrotto si crede un vincitore e si pavoneggia per sminuire gli altri». Si aggiunga, oltre tutto, l’emergere in questa stagione soprattutto  di una corruzione all’interno della classe politica, volta ad attribuirsi privilegi e benefici a proprio uso e abuso, fino all’inutile e al voluttuario.

Dal momento che non c’è limite, il degrado affaristico scivola sempre più in basso. Fino alla speculazione sui poveri e gli emarginati – immigrati, rifugiati, zingari, ex-carcerati, senzatetto, anziani, minori abbandonati – come hanno messo a nudo diverse indagini e relativi arresti, da Nord a Sud del Paese, non ci sono latitudini. Ogni ingiustizia è iniqua, ma l’ingiustizia di corruttori e corrotti – di questi "devoti della dea tangente", come li ha chiamati Francesco – è perversa e infame.

Lo è molto di più per il suo trend diffusivo e pervasivo: un andazzo esteso e dilagante, che penetra tutti gli ambiti della "cosa pubblica", come mostrano i ripetuti scandali che vengono alla luce dalle indagini della magistratura. «Il business complessivo dell’evasione fiscale, della corruzione e dell’economia mafiosa è da vertigine», ha scritto Gian Carlo Caselli. Il dilagare della corruzione è una sciagura immane che grava sulla nazione. Un male ostinato nonostante le grandi denunce e condanne, e l’inasprimento delle pene, da Tangentopoli e Mani Pulite sino a oggi.

Una «struttura di peccato» che uccide la speranza. E demolisce, è stato notato, l’idea stessa della «legalità». Ma la legalità non è il principio della giustizia e dell’onestà. Principio primo è la morale. La vita comune ne soffre vistosamente. Il bene morale è piegato al bene vantaggioso e piacevole: non importa essere buoni, giusti, ma vincenti e appagati; non conta essere veri, ma furbi. Con la perdita di senso etico, con la perdita di senso del peccato, surrogati dal reato: trasgredire è una mera infrazione… ma solo se mi scoprono, mi denunciano e mi condannano.

Altrimenti non è niente. In questo niente la corruzione è una tentazione irresistibile, cui si cede facilmente. Dai cedimenti soft a quelli hardware. Una mancia qua, una tangente là, si arriva alla corruzione con la facile giustificazione del «lo fanno tutti» e del «che male c’è?»; tanto più che «io faccio della beneficenza». Salvatore Giacalone  

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